Il primo mese del governo Milei è stato segnato da proteste di piazza e manovre choc. Il valore del peso è crollato con una svalutazione del 118%, l’inflazione continua a crescere, gli accordi con il Fondo Monetario Internazionale si fanno più stringenti e le misure di restituzione del debito rischiano di schiacciare sempre più la già fragile economia del paese. Negli ultimi mesi l’Argentina “non è riuscita” a pagare le ingenti rate del debito accumulato con il Fmi (oltre 43 miliardi di dollari) Milei è riuscito a strappare un nuovo prestito da 4,7 miliardi.
La trattativa è durata quasi settimana e ha portato ad un revisione, la settima, degli accordi del Meccanismo di finanziamento esteso (Extended Fund Facility, Eff), strumento pensato e creato dal precedente governo per “strappare” risorse necessarie a “colmare” il debito. In cambio il Fmi ha chiesto e chiede importanti aggiustamenti all’economia interna e alla struttura del paese. La nuova amministrazione “sta già sviluppando un ambizioso piano di stabilizzazione, basato su un iniziale ampio consolidamento fiscale, su azioni volte a ricostituire le riserve, correggere i disallineamenti relativi dei prezzi, rafforzare il bilancio della Banca centrale e creare un sistema economico più semplice, basato su regole e basato sul libero mercato” scrive nella nota finale il Fondo Monetario Internazionale.
Fmi e governo Milei sono convinti che le nuove misure potranno risolvere la situazione nel lungo periodo ma nel breve, concordano, la situazione sarà choccante e ci sarà un peggioramento generalizzato in termini tanto sociali che economici, con l’inflazione che crescerà del 30% ogni mese e andrà ad allargare la fascia povera che già oggi rappresenta il 45% della popolazione. Una prospettiva che non può che alimentare tensioni e paure in un contesto dove la povertà si sta allargando velocemente. La Cgt ha lanciato una giornata di sciopero nazionale per il 24 gennaio mentre tra il 10 e 11 gennaio migliaia di persone, si sono radunate davanti alla Casa Rosada per protestare contro il decreto di necessità ed emergenza con cui il governo vorrebbe derogare o modificare oltre 600 leggi, ma anche contro la legge omnibus e quindi contro la privatizzazione di 41 aziende statali, il taglio alla spesa pubblica e dei sussidi e il cambio delle regole sulle tasse universatarie.
Oggi il carburante costa il 114% in più di quanto costava il 10 dicembre, giorno dell’inizio del governo Milei, e allo stesso tempo il peso vale la metà di quanto valeva il 9 dicembre. La legge Omnibus per di più prevede un secca riduzione del finanziamento delle politiche culturali, tagli per il cinema e la chiusura dell’Istituto Nazionale del Teatro, ma anche una modificazione del sistema di assegnazione delle risorse nelle mani dell’Istituto Nazionale della Musica. E così il collettivo Unidxs por la Cultura, che riunisce più di 100 associazioni culturali e comunitarie del paese, ha organizzato il Cacerolazo Culturale Nazionale, protesta andata in scena in 50 città tra le 15:00 e le 22:00. Il Cacerolazo – protesta pacifica a suon di colpi di cucchiaio su casseruola – già simbolo delle proteste di inizio 2000, è tornato ad essere il modus, rumoroso e non solo, di protesta con cui argentine e argentini cercano di aggirare le misure anti-proteste varate dalla ministra Bullrich per il presidente Javier Milei.
Ma più che la “Legge Omnibus” è il Decreto di Necessità ed Emergenza (Dnu) a mettere a rischio la tenuta democratica del paese, non solo per il numero di articoli che saranno toccati se il parlamento approverà la misura ma perché Milei lega in maniera molto stretta il Dnu con le riforme economiche concordate con il Fmi, come dire che non c’è altra via se non quella di dire sì alla sua proposta se non si vuole far sprofondare ancora di più il paese nel baratro. Secondo il Fronte Patria Grande, fondato da Juan Grabois, “il governo Milei ha iniziato con quattro misure che liquefanno il potere d’acquisto e il risparmio delle classi medie e popolari argentine. Con il Dnu sta cercando di annullare la divisione dei poteri, sta accelerando su aspetti centrali della democrazia sociale attraverso un progetto di legge che è di fatto una sorta di riforma costituzionale, e ha attaccato il diritto penale attraverso il “protocollo” sulle manifestazioni che ha come obiettivo intimidire chi si oppone a queste misure esercitando il diritto di protesta all’interno del quadro costituzionale”.
Ma nel Dnu il governo Milei limita anche i diritti sindacali e di protesta e attacca in maniera importante i diritti sul lavoro, in primis allargando a dismisura l’area dei “servizi strategici”, cioè quelli che devono garantire il 75% di presenza anche in caso di sciopero. Mai nella storia argentina un presidente ha dovuto affrontare nel suo primo mese di mandato tante proteste e mobilitazioni. Secondo le stime de La Centrale dei Lavoratori Argentini (Cta), in questi primi 30 giorni di governo il potere d’acquisto è caduto del 15% e il salario minimo ha un valore inferiore del 26,7% rispetto a dicembre 2019 e del 43,5% rispetto allo stesso mese del 2015.
La vittoria di Milei è certamente maturata dentro al disastro che questi numeri, assieme al tasso d’inflazione registrato negli ultimi anni, raccontano della storia politica dell’Argentina. La cosa più grave è che le previsioni dicono che tutto potrebbe peggiorare velocemente. Un crollo che per il presidente servirà per vedere il paese rinascere entro 15 anni. Ma oltre alle tensioni con il popolo d’Argentina, il governo Milei si sta scontrando anche con la politica istituzionale, soprattutto con i governatori locali. I governatori Alberto Weretilneck (Río Negro), Rolando Figueroa (Neuquén), Ignacio Torres (Chubut), Claudio Vidal (Santa Cruz) e Gustavo Melella (Tierra del Fuego), criticano duramente la proposta di riforma delle norme sulla pesca inserite nella legge Omnibus e chiedono il cambiamento del ministro degli Interni, Guillermo Francos. Mentre un tema sottaciuto ma presente nelle paure del futuro del paese è quello legato alle forze armate, e non solo per la presenza nel governo di Milei di negazionisti di quanto accaduto con la dittatura. Secondo quanto scritto dal sito La Política Online, nell’Esercito c’è malumore a causa del pensionamento forzato di 23 generali e non è stata apprezzata l’apertura del mare argentino alle navi straniere. Allo stesso tempo è stato nominato generale delle forze di terra Alberto Presti, figlio del defunto colonnello Roque Presti che partecipò attivamente alla repressione degli anni 60. La questione ha sollevato l’attenzione di diverse organizzazioni di tutela dei diritti umani. L’avvocato Pablo Llonto ha osservato che “politicamente l’investitura di Presti è un segnale. Ciò fa parte della ristrutturazione del Ministero della Difesa che sta portando avanti il ministro Luis Petri”. Secondo l’avvocato il ministro ha preso la decisione “sotto l’egida di Patricia Bullrich e della vice presidente Victoria Villarruel”. Per l’avvocato, l’intenzione del governo è quella di “collocare ufficiali delle Forze Armate nel Ministero della Difesa in posizioni che prima erano occupate da civili”.