Tre anni fa era stato mandato a lavorare a Firenze, dove ancora oggi svolge le funzioni di Sostituto Procuratore, con un trasferimento d’ufficio deciso dal Csm che giudicava incompatibile la sua presenza non solo a Reggio Emilia ma negli uffici giudiziari dell’intera Emilia-Romagna. Il motivo? Marco Mescolini era ritenuto un magistrato che aveva troppo a cuore le sorti degli esponenti locali del Pd.
Un’ombra pesante quella che aveva offuscato la carriera del pm di Edilpiovra e di Aemilia, il più grande processo alla mafia del nord nella storia italiana. Da allora portava sulle spalle quella macchia indelebile. Una accusa contro la quale Mescolini ha cercato di opporsi, prima davanti allo stesso Consiglio superiore della magistratura, poi rivolgendosi al Tar infine al Consiglio di Stato che, con la sentenza pronunciata in Camera di Consiglio nel maggio scorso e resa pubblica l’11 gennaio 2024, ha accolto il suo ricorso, annullando il provvedimento del Csm.
Secondo i cinque magistrati del Consiglio di Stato (presidente Marco Lipari) le “illazioni” a carico di Mescolini sono state lette come fatti certi, “l’incompletezza del quadro istruttorio” è risultata evidente, sui presunti rapporti privilegiati con una parte politica “non v’è traccia di elementi probatori tali da dimostrare l’esistenza di una simile diffusa convinzione al di fuori dell’ambiente giudiziario”. Con l’aggravante che tale tesi, fatta propria dal Csm, “viene a dipendere in modo quasi esclusivo e certo sproporzionato dalle asserzioni di un esponente politico la cui credibilità avrebbe dovuto essere meglio verificata”, tenuto conto del fatto che era stato inquisito dallo stesso Mescolini nel processo Aemilia e che “aveva quindi con ogni verosimiglianza ragioni di risentimento nei suoi confronti”.
Si tratta dell’ex presidente del Consiglio Comunale di Parma Giovanni Paolo Bernini, il cui nome compare nell’inchiesta Aemilia non perché esponente di Forza Italia ma perché Romolo Villirillo, uomo di punta della ‘ndrangheta operante al nord, parla con lui nelle intercettazioni telefoniche che la Dda di Catanzaro trasmise a Bologna nel 2011. Personaggio che non esce dal processo Aemilia “assolto”, come più volte affermato dallo stesso Bernini, ma “prosciolto” per decorrenza dei termini, sebbene dicano le sentenze: “Bernini assicurava al Villirillo il versamento a suo favore della somma complessiva di € 50mila in caso di esito positivo della competizione elettorale”, come ha scritto la giudice Cecilia Calandra nelle motivazioni dell’Appello Aemilia.
Non meno arbitrarie e approssimative sono le conclusioni del Csm, secondo il Consiglio di Stato, in merito alla situazione che si creò negli uffici della Procura di Reggio Emilia dopo la nomina di Mescolini avvenuta nel 2018, in contemporanea con la conclusione del primo grado di Aemilia. Due anni dopo diventarono di dominio pubblico le chat di Luca Palamara, che scambiava messaggi con lo stesso Mescolini. Bernini tornò alla carica chiedendo le dimissioni del Procuratore e quattro Sostitute Procuratrici di Reggio Emilia presero spunto dal clamore mediatico della vicenda per presentare un esposto al Csm. Lamentavano “la situazione di disagio per la mancanza di serenità nello svolgimento del lavoro a causa della asserita perdita di credibilità e autorevolezza della Procura”. Il trasferimento di Mescolini deciso dal Csm poggiava sul fatto che “le preoccupazioni della gran parte dell’ufficio” fossero un “indice sintomatico di criticità ambientale” che non poteva essere trascurato. Anche questa affermazione però non può essere condivisa, secondo il Consiglio di Stato, visto che “solo quattro su nove magistrati della Procura hanno espresso critiche all’operato del Procuratore” e alcuni non sono stati neppure ascoltati.
Non meno pesanti le contestazioni che il Consiglio di Stato muove al trasferimento di Mescolini in merito ai presunti disagi nei rapporti con il personale della Procura e con le Forze dell’Ordine: “L’organo di autogoverno, il Csm, vi ha dato credito senza acquisire nessuna informazione diretta e anzi, è il caso di aggiungere, ignorando quegli elementi che deponevano in senso opposto, come le dichiarazioni del Procuratore Generale di Bologna, il dottore De Francisci” secondo il quale, anche dopo la pubblicazione delle chat con Palamara, “nessun appartenente alle Forze di Polizia gli aveva parlato male di Mescolini”. Il Csm ha ignorato anche sé stesso, aggiunge la sentenza, visto che “il Piano organizzativo della Procura redatto da Mescolini è stato approvato dal Plenum del Csm in data 18 novembre 2020 anche con passaggi lusinghieri, di tal ché risulterebbe palesemente contraddittoria l’indicazione, ai fini del trasferimento, di elementi relativi alla disorganizzazione dell’ufficio”.
L’ultima stoccata è una sorta di tirata d’orecchie sull’approssimazione complessiva dell’istruttoria che ha portato all’allontanamento di Mescolini dall’Emilia Romagna: “L’amministrazione pubblica è obbligata ad accertare d’ufficio la corrispondenza al vero dei fatti posti alla sua attenzione, così da adeguarsi al canone costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, e quindi all’esigenza che l’istruttoria che precede l’adozione dell’atto finale sia quanto più possibile esaustiva e rappresentativa della realtà”. Cosa che secondo il Consiglio di Stato non è avvenuta, per cui “viene accolto il ricorso presentato da Mescolini e vengono annullati i provvedimenti dallo stesso impugnati, salvo le ulteriori determinazioni del Csm”. L’ultima frase significa che ora la palla torna al Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà ragionare sulla sentenza e decidere il da farsi. A Reggio Emilia opera da un anno e mezzo come Procuratore Calogero Gaetano Paci, nominato dal Csm dopo la fine anticipata dell’incarico di Mescolini. Un allontanamento che per il Consiglio di Stato sarebbe ingiusto. Alla procura di Reggio Emilia, dunque, c’è una poltrona per due? La risposta al Consiglio Superiore della Magistratura.