Il procedimento intentato lo scorso dicembre dal Sudafrica alla Corte Onu de L’Aia (ICJ) contro Israele, oltre a segnare un evento storico per diverse ragioni, dal punto di vista dell’Europa poteva essere un’occasione di redenzione (politica) per le ex potenze coloniali; una messa in pratica di quella cultura della giustizia e dell’”accountability” (responsabilità) che nei paesi occidentali è più un brand per vendere costosi master (e posizioni d’élite in accademia e nella burocrazia internazionale) che un principio scolpito nella pietra e messo in pratica con coerenza.

La vecchia Europa, oggi, è andata a lezione di diritto umanitario dal Sudafrica, che senza neanche un tribunale internazionale sul suo suolo e con l’orribile storia di apartheid che si porta dietro sta invece dimostrando di voler proseguire sul cammino della redenzione (politica) iniziata dopo il ‘94, ben lontana da quella accademica dei paesi europei, che condannano crimini solo ad anni alterni.

Il caso portato davanti all’ICJ, la Corte di Giustizia Onu, a lungo considerata un mammut insipido senza pregi né difetti particolari, ha trasformato all’improvviso la corte Onu de l’Aia nel vero tribunale mondiale; in un caso reale, non limitato a dibattiti in giuridichese e questioni che in pochi capiscono: oggi e domani si sfidano due modi di intendere la civiltà, il diritto e la giustizia. Questa volta non si gioca sul sicuro con paesi politicamente deboli, costretti comunque vada ad accettare le disposizioni della Corte, oppure con altri dove le sentenze praticamente sono già scritte e servono giusto da post-it morale: in questo caso il Sudafrica ha presentato argomenti solidi, riassunti in un’istanza di 84 pagine scritta in oltre un mese di lavoro. Tanto solida da aver costretto Israele, che di solito dà i numeri appena vede azzurro e un globo bianco cucito sopra, a costituirsi parte e ad intervenire al processo.

Dicevo l’Europa: non solo ha mancato un’occasione per la redenzione (politica), ma ne ha mancata una ancora più importante per poter prendere parte ad un dibattito, vincolante nelle conseguenze, sulla crisi palestinese. Il Sudafrica e Israele, per anni, sono stati all’Onu i sorvegliati speciali sulla questione dei diritti umani: il primo è stato sospeso dall’Assemblea per 20 anni, fino alla fine dell’apartheid, l’altro ha potuto contenere il numero, già enorme, di risoluzioni di condanna grazie ai numerosi veti in suo favore degli Usa. Questa volta ha scelto una linea “attivista” non gradita dai paesi occidentali (sostenuta da oltre 60 paesi del Sud del mondo e non solo) ma tremendamente chiara nel contenuto dell’istanza: se il diritto alla difesa di uno Stato, sancito dalla carta Onu, non ha limiti nelle modalità in cui si manifesta, allora non è più un diritto ma un crimine. Anzi, il peggiore tra i crimini.

Sarà pure forte, sarà un sacrilegio associare la violazione della Convenzione di Ginevra del 1948, scritta proprio pensando all’Olocausto, ad Israele, ma il messaggio è semplice e senza tanta ipocrisia: il Sudafrica chiede un’ordinanza al tribunale affinché la mattanza di civili cessi.

C’è tanto altro e potrebbero volerci anni prima di una sentenza, ma il provvedimento d’urgenza vuole solo e soltanto questo: basta punizione collettiva, basta aggressioni a gente inerme o bombardamenti di scuole e ospedali. Sembra una richiesta di buon senso e invece l’Europa, in tutto questo, non avrà alcun ruolo; come se l’inizio della storia, 75 anni fa, non fosse proprio la fine del mandato britannico sulla regione e l’inizio delle ostilità che durano ancora oggi.

L’Ue, i paesi europei, spesso si prodigano per insegnare cristianamente al pianeta dove sta il bene e dove si annida il male, ma questa volta – con l’eccezione del Belgio, della Spagna che per bocca di due ministre ha chiesto formalmente di sostenere il Sudafrica, e timidamente della Francia che dice di sostenere l’ICJ e le sue decisioni – sembra proprio non vogliano far irritare nessuno. Anche un cessate il fuoco che possa dare uno stop definitivo dei morti civili palestinesi a 23mila, per l’Italia e i suoi partner europei, sembra uno sforzo troppo grande da fare.

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