I prossimi rinnovi di Confindustria, la corazzata dell’associazionismo d’impresa silente da anni, parrebbero sancire la messa fuori gioco della razza padroncina lumbard, incarnata nella presidenza del commerciante ragionier Carlo Bonomi, mentalmente refrattaria a un pensiero strategico purchessia e rifugiata nel pragmatismo inconcludente del “rimbocchiamoci le maniche”. Avida di rimborsi. Sempre che un colpo di coda della base non accrediti la candidatura del bonomiano Emanuele Orsini.

Intanto sono in campo personaggi di ben altro peso e spessore, con alle spalle storie importanti: Antonio “Tonino” Gozzi, leader del colosso Duferco, multitask ma a centralità siderurgica, ed Edoardo Garrone, presidente dell’azienda di famiglia Erg. L’uno chiavarese e l’altro genovese, si stimano ma risultano profondamente diversi. Il solo punto comune è quello di rappresentare il rientro in gioco, se non della grande industria ormai estinta, almeno della grande impresa. Cui si potrebbe aggiungere il comune radicamento nella dimensione territoriale.

Sebbene il vissuto complesso di Gozzi nasce imprenditorialmente altrove, in Brasile; chiamatovi dallo zio Bruno Bolfo, ex manager Siderexport (Gruppo Finsider), che dopo la svendita delle Partecipazioni Statali prosegue l’attività nel trading siderurgico fondando a San Paolo un’azienda con alcuni colleghi. Siamo alla fine degli anni 90 e sino ad allora il nipote era un docente universitario impegnato in politica come segretario provinciale del PSI. La chiamata brasiliana cambia il curriculum ma non i tratti culturali, che continuano a coltivare l’idea di una modernizzazione decisionista craxiana e i postumi traumatici della sua caduta.

Da qui l’insofferenza per la categoria metafisica “comunisti” (la questione morale di Enrico Berlinguer) e quella assolutamente “fisica” dei giudici; quali cause dello tsunami di Tangentopoli, vissuto come un indebito regolamento di conti politici, e l’ostentato apprezzamento per il ministro della Giustizia Nordio spazza magistrati. Così come l’avversione per Giuseppe Conte, sospetto di moralismo anti-establishment. Il tutto accompagnato da un chiaro orientamento glocal. Se la Duferco è altamente internazionalizzata (il 70% del suo business è fuori dall’Italia), l’head-quarter resta tra Genova e Chiavari; con Gozzi sempre fedele alle vecchie battaglie autonomiste che lo fanno definire il “Braveheart del Tigullio”. Così come la reiterata valutazione favorevole al paradigma della grande impresa rivela il lascito persistente delle migliori stagioni delle PpSs, che in Liguria avevano uno dei poli principali (non il centro, che rimase sempre romano. Nella sede del Ministero delle Partecipazioni Statali).

La storia di Edoardo Garrone è completamente diversa. Quella dell’erede di Riccardo “Duccio”; persona capace di visioni generose che, pur essendo uno dei grandi industriali del petrolio, non si è mai riconosciuto nell’establishment (e a Genova era più contropotere che potere). Per cui il figlio, da presidente dei Giovani Imprenditori tra il 1994 e il 1997, è l’ultima voce di un movimento nato per il superamento di una Confindustria notabilistica (la stagione della Riforma Pirelli 1969); dopo i primi fondatori, propugnatori di un mondo imprenditoriale alla guida del rinnovamento italiano, e il predecessore Aldo Fumagalli impegnato nella stagione di Mani Pulite. Da qui – come leder di Erg – la scelta di abbandonare il core-business nelle energie fossili per affrontare l’avventura delle rinnovabili. Il sogno (generoso o velleitario?) di un’industria alla guida della rivoluzione green.

Ricordo ancora il Convegno di Santa Margherita del 22 giugno 2001, quando da presidente dei Giovani presentò un documento in cui proponeva la tassazione delle imprese petrolifere per finanziare la transizione ecologica. Ero seduto a fianco di suo padre Duccio, che mi chiese perplesso: “cosa ne pensi?”. Mi salvai restando sul generico: “tesi generosa”. Poi in Confindustria la linea prevalente fu esattamente l’opposto. Tra i Vecchi come tra i Giovani.

Se volessimo cercare delle simmetrie, una presidenza del decisionista Gozzi potrebbe riportare l’organizzazione ai fasti di quella autorevole/verticista legata al nome dell’ex presidente Bankitalia Guido Carli. Pur sapendo che dalla fine degli anni Settanta ad oggi il quadro economico è stato coventrizzato dalla de-industrializzazione. Una presidenza Garrone potrebbe ricreare il mood accattivante/visionario di quella blasé di Gianni Agnelli; dell’accordo dell’Eur con il leader Cgil Luciano Lama sul punto unico di contingenza. Che i successori in Viale dell’Astronomia si premurarono immediatamente di accantonare.

Non è escluso che notabili e funzionari associativi possano gettare nell’urna tutto il loro peso per contrastare una presidenza forte a vantaggio di una più dialogante.

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