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Siria, la guerra della droga: il boom del Captagon e le accuse al governo di Assad

La droga sintetica usata dai jihadisti arriva in Europa, soprattutto attraverso porti italiani. È prodotta nei territori devastati dal conflitto e dalla crisi economica. L'Occidente accusa familiari del presidente siriano di essere coinvolti nel narcotraffico. Ecco il reportage pubblicato da FQ MillenniuM

Uno spettro si aggira per il Medio Oriente. E da lì raggiunge l’Europa mietendo migliaia di vittime: è lo spettro del Captagon, una piccola ed economica pastiglia composta da uno psicostimolante sintetico a base di anfetamina o metanfetamina prodotta principalmente in Siria. Chiamata la “droga della jihad” perché consumata dagli attentatori del Bataclan nel 2015 e dai combattenti dell’Isis durante gli scontri armati, questa sostanza abbassa la paura, genera un’esplosione di adrenalina e una forte dipendenza, riduce la capacità di controllare la rabbia e crea un forte disordine mentale. La sua produzione è esplosa negli scorsi anni nelle Stato Islamico ed è oggi rimasta nelle zone in cui esso ha operato: soprattutto in Siria ma anche in Iraq e Libano, da dove salpa su navi da trasporto per approdare sulle coste europee ed essere venduta a prezzi stracciati nel vecchio continente. La si trova nelle discoteche, nei rave party, nei festival di musica elettronica.

Il prezzo medio è di 3,5 euro a dose. Il suo commercio, che ha un volume d’affari stimato di 64 miliardi di euro, è in costante crescita e ha creato un enorme mercato criminale che nel Medio Oriente si è diffuso così tanto da diventare un caso geopolitico. La lotta al Captagon, infatti, è oggi uno degli argomenti portanti nei negoziati tra i Paesi della Lega Araba e il governo siriano in merito al processo di normalizzazione delle relazioni di Damasco con gli altri attori regionali. Se da una parte alcuni Stati spingono per riallacciare i legami diplomatici con la Siria (interrotti con lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011) altri si oppongono accusando il regime di Assad di essere un narcostato che si autofinanzia con la vendita di questa droga.

Tutti contro tutti – Per capire le origini del commercio del Captagon bisogna recarsi nei territori che furono occupati dall’Isis, nelle pianure desertiche della Siria lungo il confine con l’Iraq, dove fino a oggi gli scontri armati non sono mai cessati. Qui guerra, narcotraffico e competizione tra i diversi attori geopolitici si sovrappongono. Gran parte del territorio è controllato dalle forze curde dello YPG, appoggiati dall’esercito americano; numerosi gruppi radicali islamisti, tra cui i residui dell’Isis, vivono ancora come nomadi nei deserti dove regolarmente fanno imboscate a militari curdi e siriani; i soldati turchi occupano insieme alle formazioni ribelli a loro leali una fascia di territorio qualche chilometro più a Nord da dove spiccano il volo i loro droni che bombardano le posizioni militari curde; l’esercito siriano, sostenuto da Russia e Iran, è ancora presente nella cittadina Al Hasakah, exclave rimaste parzialmente in mano alle forze filo Assad che qui convivono insieme a curdi e islamisti e che ricevono rifornimenti aerei dai territori controllati da Damasco situati qualche centinaio di chilometri più ad ovest. Regolarmente piovono missili lanciati dall’aviazione israeliana che abbatte obiettivi legati ai propri nemici iraniani. In questi crocevia in cui tutti sono presenti senza che nessuno abbia la supremazia, in cui la guerra si sovrappone alla povertà più estrema, fioriscono traffici illeciti di ogni tipo. Quello del Captagon sta dilagando.

Caccia al trafficante – Grossi pick up corazzati con dei lanciarazzi posizionati sui tetti sfrecciano per le torride e polverose strade di Qamishli, cittadina siriana lungo il confine con l’Iraq e snodo del narcotraffico. Dai finestrini sventolano bandiere gialle sovrastate da una stella rossa, il simbolo dello YPG. Accaldati soldati curdi siedono a bordo con i kalashnikov appoggiati sulle ginocchia oppure buttati sui sedili posteriori. Appena incrociano un veicolo sospetto impugnano le armi, scendono a terra, lo fermano e lo perquisiscono alla ricerca delle pasticche. Chiunque può subire questi controlli: furgoni che trasportano merci o verdure, normali macchine civili, camion. «I trafficanti si mimetizzano ovunque» racconta uno dei soldati mentre perquisisce un’auto «solo il controllo costante può permettere di arginare il narcotraffico». Da quando negli ultimi due anni il commercio del Captagon è degenerato, lo YPG ha avviato una massiccia campagna di contrasto al narcotraffico. Ogni volta che un carico di droga viene intercettato viene portato nelle locali stazioni di polizia.

In una di queste siede il colonnello Haval Hassan che in una stanza vecchia e spoglia ci mostra un sacco contenente le ultime pasticche sequestrate. Mentre parla ha la voce stanca e due grosse borse sotto gli occhi, segno che la lotta al commercio di droga sta diventando sempre più impegnativa. «Fino a due anni fa intercettavamo soprattutto carichi di hashish» spiega «oggi invece è esploso il Captagon. Solo settimana scorsa abbiamo intercettato un carico di 18 chili a El Hasake». Dal giugno del 2022 le autorità YPG hanno processato 521 presunti spacciatori e circa duemila persone sono state ricoverate perché dipendenti da droghe sintetiche.

Il contrasto curdo – Le operazioni antidroga dei curdi consistono soprattutto nel pattugliamento stradale e in operazioni di intelligence. «Per adesso possiamo contare su una rete di informatori che ci permette di individuare magazzini dove la droga viene nascosta» continua Hassan «ma servirebbe ben altro: uomini addestrati, droni per le intercettazioni e soprattutto la consapevolezza dei cittadini che questo dramma va fermato». Le difficoltà a contrastare il narcotraffico sono enormi: il continuo rischio di essere bombardati, le sanguinose imboscate dell’Isis, la dilagante corruzione, la collusione con i trafficanti di molti soldati sia curdi che siriani, la povertà più estrema che spinge tanti cittadini a considerare il narcotraffico l’unica forma di sopravvivenza.

Determinante a favore dei trafficanti è anche l’attuale conformazione geopolitica della Siria: un Paese da anni diviso in diverse zone di influenza dai confini spesso porosi, attraverso i quali merci e uomini riescono a circolare grazie alla presenza di narcos e contrabbandieri non di rado legati ai locali gruppi armati. In questa scacchiera non esiste un’unica forza in grado di reprimere il narcotraffico. Mentre tutti gli attori geopolitici qui presenti (dalla Siria agli Stati Uniti, dalla Russia alla Turchia) si accusano reciprocamente di essere responsabili del dilagare del commercio del Captagon, questo continua ad aumentare.

Secondo i curdi la maggior parte dei laboratori in cui si produce questa droga si trova nei territori in mano al governo siriano. In parte nelle zone che furono in mano all’Isis, nei deserti della regione di Homs oggi tornati sotto il governo di Damasco; poi lungo il confine con la Giordania; infine sulle coste del Mediterraneo. Anche qui il consumo di queste pasticche è diffuso. Nelle città vecchie di Damasco e Aleppo non è difficile acquistare dosi per pochi soldi, a farne uso sono soprattutto ragazzi, spesso giovanissimi. Un grande problema, raccontano fonti che su questi territori assistono le fasce più fragili della popolazione, è che molti adolescenti hanno perso ogni speranza per il futuro. Non solo a causa della guerra, ma anche della drammatica crisi economica che sta devastando il Paese. Rasa al suolo dai bombardamenti e dal terremoto dello scorso febbraio, stremata dalla corruzione e isolata politicamente sul piano internazionale, la Siria è tutt’ora oggetto di severe sanzioni economiche americane ed europee che generano una forte svalutazione della moneta locale e le cui conseguenze indirette compromettono l’arrivo sul territorio anche di prodotti non sanzionati, come i medicinali. Oggi il 90% della popolazione siriana vive sotto la soglia di povertà e il 55% soffre di insicurezza alimentare. Alle nuove generazioni spesso non resta che imbracciare le armi oppure emigrare. Non pochi di coloro che rimangono, raccontano preoccupate le fonti, potrebbero vedere nel commercio del Captagon l’unica forma di sopravvivenza, non di rado diventando loro stessi dei consumatori.

Verso l’Italia – Il grosso del consumo del Captagon, però, non è in Siria. Da qui la droga si muove principalmente in quattro direzioni: verso la Giordania, per poi raggiungere le Monarchie del Golfo dove il suo utilizzo è molto diffuso; verso l’Europa, attraverso il Mediterraneo (e non di rado passando anche dal Libano), approdando soprattutto nei porti italiani; verso la Turchia, attraversando le zone in mano ai ribelli; infine verso l’Iraq, dove nell’arco di poco tempo la tossicodipendenza tra i giovani è diventata un’emergenza di portata nazionale. “Come abbiamo combattuto il terrorismo combatteremo le droghe” si legge su grossi cartelloni affissi negli uffici della polizia di Baghdad. Il governo iracheno sta lanciando l’allarme, invitando la Lega Araba a prendere delle misure contro la diffusione di questa droga in tutto il Medio Oriente. Appelli che non stanno rimanendo inascoltati, dato che i suoi consumi stanno generando grandi problemi sociali in tutta la regione.

Durante i recenti incontri negoziali tra i Paesi della Lega Araba e la Siria ad Assad è stata posta una condizione: se non contrasterà con forza la produzione e la distribuzione del Captagon il suo Paese non verrà liberato dall’isolamento politico. Alcuni puntano il dito direttamente contro il presidente siriano. Le autorità tedesche e britanniche, per esempio, accusano la sua famiglia di essere direttamente coinvolta nel business di questa droga che utilizzerebbe come “salvagente finanziario” per arginare la catastrofe economica in corso.

Le accuse al regime – Per questo all’inizio del 2023 Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna hanno sanzionato una ventina di cittadini siriani, alcuni dei quali imparentati con il presidente, e alcune società private considerate invischiate nel commercio del Captagon. Questo nuovo pacchetto sanzionatorio, si legge nelle motivazioni di chi lo ha emanato, vuole colpire il “business model che arricchisce il circolo interno del regime e garantisce entrate che contribuiscono alla sua capacità di mantenere politiche repressive contro la popolazione civile”. Tra le persone colpite ci sono numerosi membri di milizie affiliate al governo e persone appartenenti al governo siriano e alla sua intelligence. La sopravvivenza del sistema politico siriano, secondo l’Occidente, si fonda sul Captagon.

Damasco respinge queste accuse che considera scuse dei suoi nemici per mettere pressioni sugli Stati arabi perché non riallaccino i propri rapporti con gli Assad. La produzione di droga, secondo il governo siriano, sta proliferando non per colpa propria ma a causa del vuoto di potere vigente in alcune zone del Paese figlio dalle ingerenze di potenze straniere che vorrebbero ridurre il radicamento territoriale dei governativi. Damasco ha poi assicurato alla Lega Araba che collaborerà nel contrasto al narcotraffico e ha avviato una campagna insieme al governo giordano per individuare ed eliminare i narcos attivi lungo i propri confini. Una lotta, questa, più difficile che mai. Per metterla in atto in modo efficace servirebbe che tutti gli attori geopolitici che si spartiscono la torta siriana agissero in sincronia. Le rivalità politiche, però, sembrano essere più forti della volontà di combattere il Captagon.

Questo reportage è stato pubblicato su FQ MillenniuM n. 72 di ottobre 2023