Ormai sono in molti a Reggio Calabria a domandarsi se il sindaco Giuseppe Falcomatà sia ancora iscritto al Partito democratico. Leggendo la cronaca politica degli ultimi giorni, sia quella cittadina che nazionale, infatti, per dirla con le parole di un navigato esponente dem, la sensazione è che piuttosto sia “un infiltrato di Renzi all’interno del Pd”. Se sia effettivamente così, il tempo lo dimostrerà. Al momento l’unica certezza è che a un anno e mezzo dalle comunali il rischio è di consegnare la città al centrodestra che, a Palazzo San Giorgio, ha già presentato una mozione di sfiducia.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cosa sta succedendo tra il sindaco e il “suo” partito, dopo che già in passato gli aveva “perdonato” l’aver messo in giunta un’ex deputata del Popolo della Libertà dopo aver cantato “Bella ciao” per festeggiare la vittoria elettorale. L’ultima, in ordine di tempo, è la questione del Ponte sullo Stretto. La giravolta di Falcomatà prende slancio nel 2014, quando nel programma elettorale aveva scritto che “è evidente che la futura amministrazione della città metropolitana opporrà un secco ‘No’ al ponte sullo Stretto”. “La nostra terra – sosteneva – non ha bisogno di altre cattedrali nel deserto, di altri pacchetti Colombo per sopire la coscienza dei cittadini dell’area metropolitana dello Stretto”. Dopo la prima elezione, il sindaco aveva ribadito il concetto ai microfoni di Sky e rassicurato i suoi elettori: “La mia posizione è che non serve un ponte per unire le due sponde. Sono molto convinto che rendere finalmente lo Stretto patrimonio dell’umanità possa, in termini di risonanza mondiale, in termini di pubblicità, essere molto più importante di qualsiasi infrastruttura”.
Le sue convinzioni, però, con gli anni si sono sbiadite. A partire dal 2016, dopo che Renzi (il sindaco era un renziano di ferro, ndr) ha aperto all’ipotesi Ponte. Quando l’ex premier dichiarò che l’opera “può creare 100mila posti di lavoro” e si disse pronto a sbloccarla se Salini-Impregilo fosse stata “nelle condizioni di portare le carte e sistemare ciò che è fermo da 10 anni”, Falcomatà lo seguì a ruota: “Dobbiamo essere visionari – disse sempre su Sky – se il ponte è inserito in un sistema complesso che comprende aeroporti e porti, alta velocità e infrastrutture, allora è un bene, da solo sarebbe una cattedrale nel deserto”.
Nel 2019 il “volteggio” del politico reggino prosegue (“Bisogna fare uno sforzo culturale, uscire dalla logica ‘Ponte sì, Ponte no’, ma ragionare sul Ponte”) fino ad arrivare a mercoledì quando la piroetta di Falcomatà si è chiusa con la partecipazione al convegno “Palermo/Helsinki: il corridoio con il ponte sullo Stretto per lo sviluppo sostenibile del Mezzogiorno d’Europa”. Promosso dall’Ordine degli Ingegneri e dall’Università Mediterranea, l’incontro ha registrato la presenza del sindaco al fianco del viceministro alle infrastrutture Edoardo Rixi (Lega), del presidente della “Stretto di Messina Spa” Pietro Ciucci e dell’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini. Nell’aula magna dell’Ateneo, Falcomatà si è detto favorevole all’opera riesumata da Matteo Salvini: “Il ponte è un tassello, un elemento all’interno di un sistema intermodale più complesso”. E ancora: “Il ponte sullo Stretto deve essere l’occasione anche per ridurre le distanze e l’isolamento con il completamento e la realizzazione di una rete autostradale, all’interno del territorio metropolitano finalmente moderna”.
Peccato che, poche settimane fa, incontrando l’ex sindaco di Messina Renato Accorinti, la segretaria del Pd Elly Schlein abbia ribadito il “No al ponte” del suo partito che lo scorso maggio ha votato contro il decreto del governo. Decreto definito dal segretario calabrese del Pd, il senatore Nicola Irto, solo uno “spot”, visto che Salvini intende dirottare sull’opera le risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinate alla Regione Calabria. Uno “spot” che per il sindaco del Pd Falcomatà è, invece, “un’occasione”. Ma l’infrastruttura non è l’unico argomento che vede Falcomatà più vicino ai renziani di Italia Viva e al centrodestra che al Partito democratico. C’è pure l’abolizione del reato di abuso d’ufficio “sbianchettato” dal ministro Nordio e dal governo Meloni con il voto contrario di Pd, M5S e Alleanza Verdi e Sinistra.
“Se il provvedimento è proposto da un ministro di destra e si ritiene sia giusto, non vedo perché il Pd debba mettersi di traverso”, è stato il commento di Falcomatà al Corriere della Sera all’indomani della sentenza della Cassazione che lo ha assolto dal reato di abuso d’ufficio restituendogli la poltrona di sindaco dopo due anni di sospensione in seguito alle condanne in primo e secondo grado rimediate nel processo “Miramare”.
Due anni di sospensione durante i quali il Comune di Reggio Calabria è stato retto da un vicesindaco di Italia Viva, Paolo Brunetti, nominato poche ore prima che la Severino lo costringesse a uno stop forzato. Ritornato vicesindaco, dopo la decisione della Suprema Corte, Brunetti è l’unico rimasto al suo posto dopo l’azzeramento della giunta voluto da Falcomatà il 6 gennaio nonostante, per sua stessa ammissione, gli assessori uscenti “hanno lavorato molto bene” e, dal bilancio (reduce da anni di piano di rientro) al welfare passando per i concorsi pubblici appena espletati, hanno “portato a termine i loro obiettivi”. “Mi sento con la coscienza a posto. – si sfoga amareggiato uno di loro – Ho fatto il mio dovere e per una questione che non capisco sono stato fatto fuori”. Gli fa eco un altro assessore defenestrato: “Le scelte di Falcomatà sono irrazionali rispetto al percorso finora seguito. Scelte lontane da ogni logica politica”.
In un colpo solo, Falcomatà ha fatto fuori quasi un’intera giunta i cui componenti alle elezioni del 2020 gli avevano portato in dote 12mila voti garantendogli un’altra legislatura. Un “azzeramento” rivelatosi di fatto un “rimpastino” per il quale il sindaco è in rotta di collisione con tutto il centrosinistra. Se da una parte, infatti, nella nuova giunta non ci sono né i Democratici progressisti né i socialisti, dall’altra rimangono i tre posti lasciati vuoti del Pd che non ha voluto dare a Falcomatà i nomi dei nuovi assessori. In sostanza il partito del sindaco, per il momento, è rimasto fuori da un esecutivo monco. Sullo sfondo c’è chi ha ingoiato il rospo e chi si lamenta di dover tornare a lavorare non godendo più dell’aspettativa che si era preso per poter svolgere il suo ruolo di assessore. Interessi personali, che poco hanno a che fare con la politica, al netto di quali è pur vero che, in queste ore, c’è un canale di trattativa per trovare un accordo che non assomigli a una “calata di braghe” né per il Pd né per Falcomatà. Se non si dovesse raggiungere la quadra, il piano B lo svelano i corridoi di Palazzo San Giorgio dove c’è aria di campagna acquisti e circolano indiscrezioni su proposte di assessorato fatte a chi ha sempre votato contro la maggioranza. Ma anche possibili aperture dei “falcomatiani” a pezzi del centrodestra che, nei giorni scorsi, ha presentato una mozione di sfiducia minacciando di ritornare al voto tra tre mesi. A firmarla sono stati 13 consiglieri dell’opposizione. Almeno fino a quando la regola del “tengo famiglia” non li porterà ad accorgersi degli effetti dell’ultima legge di bilancio del governo Draghi che, per i consiglieri delle città metropolitane, dal 2024 ha alzato il valore dei gettoni di presenza e ha previsto un compenso massimo di 3450 euro lordi al mese. Sempre meno dei 13800 euro di stipendio che percepirà un sindaco, dei 10350 euro del vicesindaco e degli 8970 euro degli assessori.
E intanto, mentre la città aspetta i giochi di palazzo San Giorgio, c’è chi, all’interno del centrosinistra è scettico: “Perché dovremmo credere che in un anno e mezzo di legislatura si farà tutto quello che non è stato fatto in quasi 10 anni?”. E c’è pure chi ammette che aveva ragione Tonino Perna, un professore universitario, una persona stimata in tutta la Calabria che Falcomatà aveva nominato vicesindaco all’inizio della seconda legislatura. Nel 2021, avrebbe dovuto reggere il Comune durante la sospensione del sindaco che, però, poche ore prima della condanna per abuso d’ufficio, lo ha rimosso senza nemmeno comunicarglielo. Inevitabili le dimissioni accompagnate da un’analisi impietosa del docente universitario: “Falcomatà è una figura complessa. – aveva affermato Perna in conferenza stampa – Meriterebbe uno studio particolare. In giunta non era tollerato nessun dissenso e gli assessori erano reticenti a prendere la parola e a fare un dibattito franco”. Dibattito che, adesso, è obbligatorio per uscire dal guado.
Politica
Falcomatà, il sindaco Pd che tifa Ponte sullo Stretto e ddl Nordio: ha cacciato la giunta, ora strizza l’occhio a Renzi e al centrodestra
Ormai sono in molti a Reggio Calabria a domandarsi se il sindaco Giuseppe Falcomatà sia ancora iscritto al Partito democratico. Leggendo la cronaca politica degli ultimi giorni, sia quella cittadina che nazionale, infatti, per dirla con le parole di un navigato esponente dem, la sensazione è che piuttosto sia “un infiltrato di Renzi all’interno del Pd”. Se sia effettivamente così, il tempo lo dimostrerà. Al momento l’unica certezza è che a un anno e mezzo dalle comunali il rischio è di consegnare la città al centrodestra che, a Palazzo San Giorgio, ha già presentato una mozione di sfiducia.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cosa sta succedendo tra il sindaco e il “suo” partito, dopo che già in passato gli aveva “perdonato” l’aver messo in giunta un’ex deputata del Popolo della Libertà dopo aver cantato “Bella ciao” per festeggiare la vittoria elettorale. L’ultima, in ordine di tempo, è la questione del Ponte sullo Stretto. La giravolta di Falcomatà prende slancio nel 2014, quando nel programma elettorale aveva scritto che “è evidente che la futura amministrazione della città metropolitana opporrà un secco ‘No’ al ponte sullo Stretto”. “La nostra terra – sosteneva – non ha bisogno di altre cattedrali nel deserto, di altri pacchetti Colombo per sopire la coscienza dei cittadini dell’area metropolitana dello Stretto”. Dopo la prima elezione, il sindaco aveva ribadito il concetto ai microfoni di Sky e rassicurato i suoi elettori: “La mia posizione è che non serve un ponte per unire le due sponde. Sono molto convinto che rendere finalmente lo Stretto patrimonio dell’umanità possa, in termini di risonanza mondiale, in termini di pubblicità, essere molto più importante di qualsiasi infrastruttura”.
Le sue convinzioni, però, con gli anni si sono sbiadite. A partire dal 2016, dopo che Renzi (il sindaco era un renziano di ferro, ndr) ha aperto all’ipotesi Ponte. Quando l’ex premier dichiarò che l’opera “può creare 100mila posti di lavoro” e si disse pronto a sbloccarla se Salini-Impregilo fosse stata “nelle condizioni di portare le carte e sistemare ciò che è fermo da 10 anni”, Falcomatà lo seguì a ruota: “Dobbiamo essere visionari – disse sempre su Sky – se il ponte è inserito in un sistema complesso che comprende aeroporti e porti, alta velocità e infrastrutture, allora è un bene, da solo sarebbe una cattedrale nel deserto”.
Nel 2019 il “volteggio” del politico reggino prosegue (“Bisogna fare uno sforzo culturale, uscire dalla logica ‘Ponte sì, Ponte no’, ma ragionare sul Ponte”) fino ad arrivare a mercoledì quando la piroetta di Falcomatà si è chiusa con la partecipazione al convegno “Palermo/Helsinki: il corridoio con il ponte sullo Stretto per lo sviluppo sostenibile del Mezzogiorno d’Europa”. Promosso dall’Ordine degli Ingegneri e dall’Università Mediterranea, l’incontro ha registrato la presenza del sindaco al fianco del viceministro alle infrastrutture Edoardo Rixi (Lega), del presidente della “Stretto di Messina Spa” Pietro Ciucci e dell’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini. Nell’aula magna dell’Ateneo, Falcomatà si è detto favorevole all’opera riesumata da Matteo Salvini: “Il ponte è un tassello, un elemento all’interno di un sistema intermodale più complesso”. E ancora: “Il ponte sullo Stretto deve essere l’occasione anche per ridurre le distanze e l’isolamento con il completamento e la realizzazione di una rete autostradale, all’interno del territorio metropolitano finalmente moderna”.
Peccato che, poche settimane fa, incontrando l’ex sindaco di Messina Renato Accorinti, la segretaria del Pd Elly Schlein abbia ribadito il “No al ponte” del suo partito che lo scorso maggio ha votato contro il decreto del governo. Decreto definito dal segretario calabrese del Pd, il senatore Nicola Irto, solo uno “spot”, visto che Salvini intende dirottare sull’opera le risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinate alla Regione Calabria. Uno “spot” che per il sindaco del Pd Falcomatà è, invece, “un’occasione”. Ma l’infrastruttura non è l’unico argomento che vede Falcomatà più vicino ai renziani di Italia Viva e al centrodestra che al Partito democratico. C’è pure l’abolizione del reato di abuso d’ufficio “sbianchettato” dal ministro Nordio e dal governo Meloni con il voto contrario di Pd, M5S e Alleanza Verdi e Sinistra.
“Se il provvedimento è proposto da un ministro di destra e si ritiene sia giusto, non vedo perché il Pd debba mettersi di traverso”, è stato il commento di Falcomatà al Corriere della Sera all’indomani della sentenza della Cassazione che lo ha assolto dal reato di abuso d’ufficio restituendogli la poltrona di sindaco dopo due anni di sospensione in seguito alle condanne in primo e secondo grado rimediate nel processo “Miramare”.
Due anni di sospensione durante i quali il Comune di Reggio Calabria è stato retto da un vicesindaco di Italia Viva, Paolo Brunetti, nominato poche ore prima che la Severino lo costringesse a uno stop forzato. Ritornato vicesindaco, dopo la decisione della Suprema Corte, Brunetti è l’unico rimasto al suo posto dopo l’azzeramento della giunta voluto da Falcomatà il 6 gennaio nonostante, per sua stessa ammissione, gli assessori uscenti “hanno lavorato molto bene” e, dal bilancio (reduce da anni di piano di rientro) al welfare passando per i concorsi pubblici appena espletati, hanno “portato a termine i loro obiettivi”. “Mi sento con la coscienza a posto. – si sfoga amareggiato uno di loro – Ho fatto il mio dovere e per una questione che non capisco sono stato fatto fuori”. Gli fa eco un altro assessore defenestrato: “Le scelte di Falcomatà sono irrazionali rispetto al percorso finora seguito. Scelte lontane da ogni logica politica”.
In un colpo solo, Falcomatà ha fatto fuori quasi un’intera giunta i cui componenti alle elezioni del 2020 gli avevano portato in dote 12mila voti garantendogli un’altra legislatura. Un “azzeramento” rivelatosi di fatto un “rimpastino” per il quale il sindaco è in rotta di collisione con tutto il centrosinistra. Se da una parte, infatti, nella nuova giunta non ci sono né i Democratici progressisti né i socialisti, dall’altra rimangono i tre posti lasciati vuoti del Pd che non ha voluto dare a Falcomatà i nomi dei nuovi assessori. In sostanza il partito del sindaco, per il momento, è rimasto fuori da un esecutivo monco. Sullo sfondo c’è chi ha ingoiato il rospo e chi si lamenta di dover tornare a lavorare non godendo più dell’aspettativa che si era preso per poter svolgere il suo ruolo di assessore. Interessi personali, che poco hanno a che fare con la politica, al netto di quali è pur vero che, in queste ore, c’è un canale di trattativa per trovare un accordo che non assomigli a una “calata di braghe” né per il Pd né per Falcomatà. Se non si dovesse raggiungere la quadra, il piano B lo svelano i corridoi di Palazzo San Giorgio dove c’è aria di campagna acquisti e circolano indiscrezioni su proposte di assessorato fatte a chi ha sempre votato contro la maggioranza. Ma anche possibili aperture dei “falcomatiani” a pezzi del centrodestra che, nei giorni scorsi, ha presentato una mozione di sfiducia minacciando di ritornare al voto tra tre mesi. A firmarla sono stati 13 consiglieri dell’opposizione. Almeno fino a quando la regola del “tengo famiglia” non li porterà ad accorgersi degli effetti dell’ultima legge di bilancio del governo Draghi che, per i consiglieri delle città metropolitane, dal 2024 ha alzato il valore dei gettoni di presenza e ha previsto un compenso massimo di 3450 euro lordi al mese. Sempre meno dei 13800 euro di stipendio che percepirà un sindaco, dei 10350 euro del vicesindaco e degli 8970 euro degli assessori.
E intanto, mentre la città aspetta i giochi di palazzo San Giorgio, c’è chi, all’interno del centrosinistra è scettico: “Perché dovremmo credere che in un anno e mezzo di legislatura si farà tutto quello che non è stato fatto in quasi 10 anni?”. E c’è pure chi ammette che aveva ragione Tonino Perna, un professore universitario, una persona stimata in tutta la Calabria che Falcomatà aveva nominato vicesindaco all’inizio della seconda legislatura. Nel 2021, avrebbe dovuto reggere il Comune durante la sospensione del sindaco che, però, poche ore prima della condanna per abuso d’ufficio, lo ha rimosso senza nemmeno comunicarglielo. Inevitabili le dimissioni accompagnate da un’analisi impietosa del docente universitario: “Falcomatà è una figura complessa. – aveva affermato Perna in conferenza stampa – Meriterebbe uno studio particolare. In giunta non era tollerato nessun dissenso e gli assessori erano reticenti a prendere la parola e a fare un dibattito franco”. Dibattito che, adesso, è obbligatorio per uscire dal guado.
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Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - A Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, verranno rilasciati tre ostaggi (Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert) rapiti il 7 ottobre, anziché quattro come si pensava in precedenza. Il quarto ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, verrà liberato in un altro luogo e senza una cerimonia pubblica. I veicoli della Croce Rossa sono presenti a Nuseirat, ma sembra che ci potrebbe essere ritardo nella consegna.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - Ansia e depressione, nei pazienti con cancro, peggiorano la risposta alle cure e riducono la sopravvivenza. Lo evidenziano i risultati di uno studio (Stress Lung) pubblicato su 'Nature Medicine' e condotto su 227 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato e trattati in prima linea con farmaci immunoterapici. A 2 anni, solo il 46% dei pazienti con distress emozionale, in particolare ansia e depressione, era vivo rispetto al 65% delle persone colpite dal carcinoma polmonare, ma senza segni di disagio psicologico. In Italia lo psicologo dedicato all'oncologia è presente, sulla carta, in circa la metà dei centri, in realtà solo il 20% delle strutture dispone di professionisti formati per affrontare il disagio mentale determinato dal cancro. Per contribuire a colmare questa lacuna nasce 'In buona salute', la prima piattaforma online di psiconcologia in Italia (inbuonasalute.eu), presentata ieri a Milano, in un incontro con la stampa. Si tratta di un luogo sicuro, accessibile e altamente professionale - riporta una nota - dove pazienti, caregiver e operatori sanitari possono ricevere un aiuto qualificato, senza limiti di tempo o spazio.
"Si stima che più del 50% dei pazienti oncologici sviluppi livelli significativi di distress emozionale che hanno un impatto negativo sulla qualità di vita, sull'adesione ai trattamenti e, quindi, sulla sopravvivenza - spiega Gabriella Pravettoni, responsabile scientifico di 'In buona salute', direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia e professoressa di Psicologia delle decisioni all'Università degli Studi di Milano - Il sostegno psiconcologico è fondamentale prima, durante e dopo le cure. Sono contenta che ci siano iniziative di questo genere dove si possa offrire un supporto concreto e personalizzato a chi affronta il tumore, attraverso un percorso di cura psicologica mirato e focalizzato al miglioramento del benessere mentale durante ogni fase della malattia".
Dopo aver completato un questionario online, la piattaforma suggerisce lo specialista più in linea con le necessità di ogni persona. E' infatti disponibile un team di psiconcologi certificati, impegnati a fornire un aiuto prezioso a pazienti, caregiver e operatori sanitari. Nella piattaforma è possibile trovare risorse, supporto emotivo e informazioni affidabili. E' consigliato un ciclo di 10 sedute online di 50 minuti.
"Troppo spesso i risvolti psicologici di una diagnosi di cancro sono lasciati in seconda linea, rispetto ai bisogni strettamente clinici - continua Pravettoni - Vanno considerate le difficoltà dei medici a discutere di questi argomenti durante la visita, anche per mancanza di tempo, e la riluttanza dei pazienti a confidarli, talvolta per lo stigma ancora associato ai problemi legati alla salute mentale. Anche quando i problemi psicologici vengono riconosciuti, non è facile gestirli nella pratica clinica. Non esiste, infatti, un modello di valutazione e intervento adatto a tutte le circostanze. Anche il supporto psiconcologico deve adeguarsi e rispondere ai bisogni dei pazienti, adottando tutti gli strumenti utili, incluse le sedute online".
Nel 2024, nel nostro Paese, sono stati stimati 390.100 nuovi casi di tumore. Grazie ai programmi di screening e ai progressi nelle terapie, aumenta il numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni. "La cura a 360 gradi di questi cittadini deve implicare una maggiore attenzione alle conseguenze psicologiche della malattia - afferma Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell'Irccs Ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - Il distress emozionale nelle persone colpite dal cancro è una condizione frequente, che ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza. I pazienti oncologici con sintomi depressivi mostrano, inoltre, una minor aderenza ai protocolli terapeutici. Uno studio retrospettivo ha indagato il grado di accettazione della chemioterapia adiuvante in donne con carcinoma della mammella: tra le pazienti con depressione che non hanno richiesto aiuto psicologico, solo il 51% ha accettato di sottoporsi alla chemioterapia. L'associazione tra sintomi depressivi e riduzione della sopravvivenza può essere dovuta non solo alla mancata aderenza terapeutica, ma anche alla risposta allo stress cronico e ai meccanismi immunitari implicati".
Per garantire "servizi adeguati di psiconcologia - prosegue Del Mastro - serve non solo un potenziamento delle risorse, ma anche riconoscere il ruolo dello psiconcologo all'interno del team multidisciplinare. Inoltre, i pazienti devono essere informati di più e meglio sull'opportunità di beneficiare di questi servizi. Ad esempio, la norma che ha istituito in Italia le Breast unit ha stabilito che, all'interno dei team multidisciplinari, siano inclusi gli psiconcologi, ma troppo spesso nei centri di senologia mancano professionisti strutturati, sostituiti da figure che lavorano con contratti precari. Ecco perché sono importanti progetti come 'In buona salute', che possono rispondere alle esigenze di supporto emotivo dei pazienti. Va considerata anche la facilità di accesso al servizio online, perché non è necessario spostarsi per accedere alle strutture, vantaggio importante soprattutto quando si tratta di pazienti fragili in trattamento".
Aggiunge Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia: "Già dalla diagnosi la donna si trova a affrontare una serie di problematiche che afferiscono all'ambito psicologico. Stress, disturbi d'ansia, depressione, immagine corporea alterata, difficoltà nella sfera emotiva, familiare e di coppia, sono le più comuni di un elenco purtroppo molto lungo. Grazie anche all'aiuto dello psiconcologo, è possibile per la paziente sviluppare una capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla malattia, arrivare cioè a quello stato di resilienza necessario a superare le difficoltà nel percorso di cura. Lo psiconcologo dovrebbe essere presente, insieme all'oncologo medico, fin dall'inizio, ad ogni colloquio, anche se siamo ben consapevoli della carenza di personale dedicato e della precarietà degli incarichi".
"Mentre ci impegniamo con forza affinché questi limiti vengano superati e si rispettino le linee guida europee che prevedono la presenza dello psiconcologo in tutte le Breast Unit, accogliamo con favore la disponibilità di una piattaforma online con figure specializzate - conclude - a cui pazienti e familiari possano rivolgersi con la certezza di trovare un supporto qualificato".