“Il Sudafrica sostiene che Israele ha trasgredito l’articolo 2 della convenzione (Onu, ndr) commettendo atti che rientrano nella definizione di genocidio. Le azioni mostrano un modello sistematico di condotta da cui si può dedurre un genocidio”. Così Adila Hassim, sostenitrice dell’Alta corte del Sudafrica, alla sessione di apertura delle udienze preliminari sul caso di genocidio presentato il 29 dicembre scorso dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia contro Israele in seguito alla sua offensiva degli ultimi tre mesi nella Striscia di Gaza. Il Paese africano aveva già sospeso le relazioni con Israele il 21 novembre accusando Tel Aviv di “crimini di guerra” mentre una settimana prima, il 16 novembre, aveva presentato un’altra denuncia, questa volta alla Corte penale internazionale, per un’indagine su presunti crimini di guerra commessi da Israele a Gaza. La causa del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia ha trovato soprattutto il sostegno compatto di diversi Paesi a maggioranza musulmana e da organizzazioni, o singoli Stati, arabi.
L’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, che riunisce 56 Paesi a maggioranza musulmana, ha infatti “accolto con favore” il caso di genocidio intentato contro Israele, affermando che le azioni di Tel Aviv nella Striscia di Gaza “costituiscono collettivamente un crimine di genocidio”. Il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha espresso anch’egli il suo sostegno alla causa del Sudafrica: “Attendiamo con impazienza una sentenza giusta e coraggiosa che fermerà questa guerra aggressiva e porrà fine allo spargimento di sangue palestinese”. Aboul Gheit ha inoltre incaricato i funzionari della Lega Araba di “monitorare da vicino il procedimento legale, rimanendo pronti a fornire il supporto necessario per sostenere la causa palestinese”. Tra i singoli governi arabi che hanno sostenuto la causa sudafricana ci sono solo quelli dell’Iraq, della Giordania, del Libano, della Libia e dell’Autorità nazionale palestinese. Parlando in Parlamento la prima settimana di gennaio, il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha detto che il ministero preparerà i documenti legali necessari per dare seguito al caso, spiegando che il “blocco israeliano degli aiuti umanitari a Gaza implementa la politica della fame che Israele sta usando contro i palestinesi in chiara violazione del diritto internazionale”, atto definito dal capo della diplomazia giordano “un altro crimine di guerra”.
Tra gli altri Paesi della regione che hanno espresso il loro sostegno al caso figurano la Turchia, l’Iran e il Pakistan. Il 10 gennaio il ministero degli Esteri di Teheran ha infatti rilasciato una dichiarazione in cui esprime il suo pieno sostegno al caso e descrive la mossa del Sudafrica come un’azione “responsabile, coraggiosa e onorevole” contro Israele, esortando la comunità internazionale a “chiedere conto ai responsabili dei crimini commessi da Israele a Gaza”. Allo stesso modo, la Turchia ha dichiarato il suo sostegno ufficiale al caso del Sudafrica e in un post su X il portavoce del ministero degli Esteri Oncu Keceli ha spiegato che “il massacro da parte di Israele di oltre 22mila civili palestinesi a Gaza, la maggior parte dei quali erano donne e bambini, durato quasi tre mesi non deve rimanere impunito e gli autori devono essere ritenuti responsabili ai sensi del diritto internazionale”.
L’Egitto, che svolge invece un ruolo di mediatore nella regione, non ha annunciato ufficialmente la sua posizione sul caso. Alla vigilia dell’udienza sudafricana i partiti di opposizione nel Paese hanno rilasciato una dichiarazione chiedendo al governo egiziano di unirsi formalmente alla causa davanti alla Corte internazionale di giustizia. Un caso particolare è la Tunisia che, in una dichiarazione rilasciata dal suo ministero degli Esteri, ha affermato che non prenderà parte formalmente al caso in quanto tale mossa sarebbe vista come un “riconoscimento formale dell’entità occupante (Israele, ndr)”. La decisione, presa direttamente dal presidente tunisino Kais Saied, è stata fortemente criticata dalle opposizioni che l’hanno considerata “una timidezza nei confronti di Israele”. Lo scorso novembre Saied aveva inoltre interrotto la votazione su una legge che criminalizza la normalizzazione con Israele in Tunisia spiegando in un messaggio ai deputati che “la proposta di legge mette in pericolo la sicurezza esterna e gli interessi della Tunisia”, rinviando a data da destinarsi la votazione. Tra coloro che, invece, non prendono posizione per motivi legati a interessi nazionali ci sono Marocco, Arabia Saudita ed Emirati. Paesi che, infatti, avevano già avviato politiche di normalizzazione con Tel Aviv prima dello scoppio del conflitto.