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Il caso della Polonia spaccata a metà dopo il voto: il governo centrista, il capo dello Stato di destra pronto a mettere veti su tutto

Lo scontro tra il governo polacco guidato dal primo ministro Donald Tusk ed il presidente della Repubblica Andrzej Duda ha ormai superato il punto di non ritorno. A dimostrarlo è la vicenda che ha visto coinvolti i deputati Mariusz Kaminski e Maciej Wasik, due esponenti del partito Diritto e Giustizia condannati a due anni di carcere per corruzione e rifugiatisi nel palazzo presidenziale per sfuggire all’arresto (poi comunque avvenuto). Duda, che aveva già graziato in passato i due parlamentari, ha annunciato che riproporrà il procedimento ed ha affermato che, come riportato dall’Ansa, i due sono “prigionieri politici”. Nelle stesse ore decine di migliaia di persone sono scese nelle strade di Varsavia per protestare contro il programma di riforme voluto dall’esecutivo.

Le vicende si inseriscono in un clima di forte contrapposizione che vede da un lato il partito Diritto e Giustizia, anti-europeista e di destra radicale, nello stesso raggruppamento di Fratelli d’Italia all’Europarlamento, che ha dovuto lasciare il potere dopo dieci anni dopo la sconfitta maturata alle elezioni di ottobre e dall’altro l’esecutivo centrista ed europeista di Tusk (esponente di primo piano del Partito popolare europeo), deciso a riformare l’apparato statale polacco per annullare ogni influenza dal precedente governo. Tusk ha già licenziato i vertici dei principali media pubblici, nominati dagli ultraconservatori, una mossa definita da alcuni controversa e volta a rafforzare la “presa sulle istituzioni“. Il neo premier ha inoltre sostituito le persone a capo dei servizi segreti e di sicurezza, accusati di aver spiato l’ormai ex opposizione.

Il principale ostacolo alle azioni di Tusk è rappresentato, però, proprio dal capo dello Stato Duda, rieletto nel 2020 e in carica fino alla metà del 2025. Il presidente polacco gode di significativi poteri costituzionali e tra questi spicca la possibilità di porre il veto su qualunque legge che non riceva l’approvazione di almeno il sessanta per cento dei parlamentari. Il governo Tusk, formato da una coalizione tra i centristi di Coalizione Civica, i liberali di Terza Via e la sinistra di Lewica, non dispone di questa percentuali di seggi ed ha il sostegno di poco meno di 250 parlamentari sui 460 del Parlamento polacco. Duda ha già posto il veto sulla finanziaria ed ha annunciato che invierà al Parlamento la “propria versione” del budget statale.

L’esecutivo Tusk, che già dovrà trovare una sintesi tra i partiti che lo formano per superare eventuali problematiche interne, sembra destinato a trovarsi in una condizione di significativa precarietà per almeno un anno e mezzo. La scure di Duda, che ha tutto l’interesse ad ostacolare l’azione di governo, può abbattersi su ogni provvedimento ed arrivare ad annacquare il programma riformista voluto dai partiti al potere. Una convivenza pacifica rischia di essere difficile: la scelta fatta dagli elettori polacchi nel 2023, che hanno preferito l’europeismo e la moderazione al radicalismo ed all’illiberalismo stile Orbán di Diritto e Giustizia, non è stata accettata dall’ala più conservatrice della popolazione polacca ed ha lasciato il segno sulla società.

La situazione di blocco non pare incidere sui consensi delle forze politiche. Un recente sondaggio, realizzato tra il 5 e l’8 gennaio da Irbis/Onet, ha evidenziato come Destra Unita, la coalizione guidata da Diritto e Giustizia, sia accreditata del 34.2 per cento dei voti contro il 35.3 delle elezioni di tre mesi fa. Coalizione Civica è al 32 (contro il 30), Terza Via è al 17 contro il 14, la sinistra di Lewica è ferma poco sotto al 9. Gli elettori sono rimasti fedeli, salvo piccoli cambiamenti, alle preferenze espresse e questa potrebbe non essere una buona notizia per Varsavia dato che le divisioni interne, tra conservatori e liberali e tra città e compagne, rischiano di indebolire la tenuta polacca sullo scenario regionale.

Varsavia è in prima linea nel sostegno fornito all’Ucraina e contrasta attivamente la linea politica di Mosca in Europa Orientale. Un indebolimento sul fronte interno, peraltro tra partiti che hanno tra le poche cose in comune proprio l’ostilità nei confronti del Cremlino, può essere una chiave per la Russia per esercitare maggiore pressione su un’Unione Europea che, come spesso accade, è lacerata al proprio interno ed attende le elezioni europee di giugno con trepidazione. Kiev, ma anche gli Stati Baltici e Bruxelles, hanno molto da perdere dalle divisioni interne a Varsavia e devono sperare in una possibile ricomposizione.