La pièce è tratta dall'omonimo romanzo del cileno Pedro Lemebel, artista queer che per anni si oppose alla dittatura di Pinochet, ed è ambientato nel 1986, anno dell'attentato al generale
Magnifico e struggente. Così si potrebbe riassumere in due parole Ho Paura Torero, ultimo risultato del sodalizio artistico tra Lino Guanciale e Claudio Longhi, direttore del Piccolo teatro di Milano e regista dello spettacolo, che ha debuttato in prima assoluta lo scorso 11 gennaio e resterà in scena fino al prossimo 11 febbraio.
La storia narra dell’amore segreto tra la Fata dell’angolo – un ‘travestito’ sensibile e romantico, che ha abbandonato la strada per dedicarsi a piccoli lavori di sartoria per gli alti comandi della giunta – e Carlos (Francesco Centorame), studente universitario e membro del Fronte patriottico Manuel Rodriguez, gruppo clandestino che usa la casa della Fata come covo per preparare un attentato contro Pinochet. I due protagonisti vanno incontro a una reciproca formazione: la Fata apre gli occhi sulla realtà politica che la circonda, diventando complice della banda, mentre Carlos impara a rispettare e comprendere i sentimenti della Fata.
Un intreccio sapientemente costruito tra eros e politica, tra intimità e vita pubblica: sullo sfondo, la quotidianità della capitale, Santiago, divisa tra le proteste della popolazione contro il regime e la vita annoiata e opulenta dei vertici militari. In scena troviamo anche rappresentato comicamente il rapporto tra Pinochet (Mario Pirrello), tormentato da fantasmi interiori che lo visitano nel sonno, e la moglie, interpretata dalla strepitosa Arianna Scommegna. Le vicende delle due coppie si sviluppano tra difficoltà e fugaci momenti di felicità, fino alla resa dei conti finale che determinerà un cambiamento fondamentale per le loro vite.
La trasposizione del romanzo di Lemebel sul palcoscenico supera il classico ‘adattamento’ alle scene: Longhi, memore della lezione di Luca Ronconi e con la collaborazione di Alejandro Tantanian, cura una vera e propria ‘edizione teatrale’ dell’opera. Così in scena resta inalterato il linguaggio del testo, nucleo esplosivo dell’intera opera: si evita la riduzione delle battute ai soli dialoghi, mantenendo il ricorso alla terza persona e soprattutto si dissemina la sceneggiatura – come puntualizza lo stesso Guanciale – di altri elementi tratti da interviste tv, colloqui radiofonici, scritti giornalistici, in modo da ottenere una ‘lembeleide’, un concentrato della summa dell’opera dell’autore sudamericano. Incisivo anche il lavoro sulle proiezioni e il visual design, opera di Riccardo Frati, e sulla scenografia, a cura di Guia Buzzi: intelligente l’uso di finestre e riquadri come punto di osservazione della città, caotica e vibrante, ricca di murales e graffiti.
Sull’inserimento di questo spettacolo puramente sudamericano – il primo diretto da Longhi in qualità di direttore – nel cartellone di un teatro che si fregia del titolo di ‘Teatro d’Europa’, il presidente del CdA Piergaetano Marchetti, nella conferenza stampa pre debutto, ha giustificato così la sua scelta: “L’Europa è e deve rimanere, anche e soprattutto in questa brutta ripresa degli imperi, uno spazio di apertura e di circolazione delle idee”. Anche Longhi ha parlato di “un invito a fare i conti con la storia e con ciò che è stato”, davanti a un presente “che tende a soffrire di amnesia e rischia di essere un po’ esangue”; senza trascurare lo sguardo all’attualità, in primis in relazione al dibattito pubblico in corso sulle questioni di genere e l’educazione all’affettività.