Il Mose funziona. Il Mose è concluso. Evviva il Mose. Il ritornello è riecheggiato spesso nelle parole dei politici e nelle cronache degli ultimi mesi. Finalmente, verrebbe da dire, visto che la prima idea risale al 1980, la Convenzione Generale è del 1991, l’inizio lavori del maggio 2003. In tutto questo tempo sono stati spesi quasi 7 miliardi di euro, soldi pubblici di cui una parte è stata ingoiata da inefficienze e dallo scandalo delle tangenti che nel 2014 ha spazzato via dirigenti, faccendieri e imprenditori. Al 31 dicembre 2023, cronoprogramma virtuale alla mano, è scaduto il termine per il completamento del progetto per salvare Venezia dall’acqua alta. Una data storica, verrebbe da annotare, ammesso che si possa sostenere che i lavori siano davvero finiti e che la gigantesca opera abbia davanti soltanto gli anni che la separano dalla durata di vita di un secolo, prevista dagli studi ufficiali ed enfatizzata nei comunicati stampa, anche se poi l’innalzamento dei mari rischia di dimezzare il tempo dell’efficacia delle dighe mobili, riducendola a 50 anni.
Ma è davvero così? Il Mose funziona ora, ma aveva già cominciato a farlo, in fase sperimentale, nell’ottobre 2020 con il primo sollevamento delle 78 paratoie mobili alle bocche di porto della Laguna. Di sicuro la fine del 2023 non ha segnato la conclusione dei lavori, che continueranno per alcuni anni, né il collaudo dell’opera il quale, ben che vada, si avrà solo a fine 2025. Non ha marcato neanche il termine della spesa di soldi pubblici che si protrarrà, sotto altra forma e per decine di milioni di euro all’anno (servono almeno 300 milioni, manutenzioni escluse). È una macchina complessa che si interfaccia con le quattro strutture che si occupano (o dovranno farlo) della salvaguardia: il commissario straordinario per il Mose (Elisabetta Spitz), il Consorzio Venezia Nuova (gestito dal liquidatore Massimo Miani), il Provveditorato interregionale per le opere pubbliche del Triveneto (Tommaso Colabufo) e la nascente Autorità per Venezia (in pectore Roberto Rossetto).
Sono trascorsi più di quattro anni da quando il 27 novembre 2019 il presidente del consiglio Giuseppe Conte nominò l’architetto Spitz commissaria straordinaria incaricata “di sovrintendere alla fase di prosecuzione dei lavori volti al completamento del modulo sperimentale elettromeccanico per la tutela e la salvaguardia della Laguna di Venezia”. Due settimane prima, il 12 novembre, l’“acqua altissima” aveva raggiunto i 189 centimetri sopra il medio mare, il secondo livello più alto dal 1872. L’Adriatico in tempesta aveva sommerso il centro storico, Chioggia e l’isola di Pellestrina. Un disastro. Siccome i lavori erano fermi – per scandali e mancanza di soldi – il governo decise di dare una svolta. Così fu chiamata Spitz, affidandole l’incarico di sblocca-cantieri.
Che però non si sbloccarono. In una prima fase la gestione avvenne in sintonia con l’allora provveditore alle opere pubbliche, Cinzia Zincone. Poi qualcosa si incrinò. Zincone nel 2021 fu vittima di accuse rivelatesi infondate, al punto che venne sospesa per tre mesi senza stipendio. Episodio oscuro, perché la dirigente fu di fatto pensionata contro la sua volontà, anche per aver criticato la commissario che non era riuscita ad accelerare i lavori. Un anno dopo il Tribunale riconobbe che la sospensione della Zincone era illegittima, con conseguente ricostituzione della carriera. Il meccanismo si rimise allora faticosamente in moto finché venne annunciato che il Mose sarebbe stato concluso a fine 2023.
Adesso il grande giorno è arrivato, ma non c’è enfasi celebrativa. Infatti, la situazione è complessa, come dimostrano i molti lavori incompiuti e gli impegni futuri. Il Mose è una Fabbrica di Sant’Antonio, un cantiere infinito che impegnerà politici, professionisti, uomini dello Stato e imprese private ancora a lungo. Che serva ormai non c’è dubbio. Il 2023 è stato il terzo anno della storia per acque alte sopra gli 80 centimetri (171 volte, alcune perfino in agosto), quindi il Mose è stato messo in funzione 36 volte (maree oltre quota 120 centimetri sul medio mare). Tra ottobre e novembre addirittura per due settimane, con un costo complessivo di circa due milioni di euro solo per quel periodo, visto che per ogni alzata si spendono 200.000 euro. Così Venezia è rimasta all’asciutto e il sistema di dighe mobili ha evitato un danno annuale che il Corila (Consorzio di ricerca sul sistema lagunare) ha quantificato tra i 210 e i 460 milioni all’anno.
Poco prima di Natale l’architetto Spitz ha annunciato: “Le opere necessarie alla funzionalità delle bocche di porto possono dirsi concluse. Possiamo dire di aver raggiunto l’obiettivo e di aver portato a completamento un’opera di alta ingegneria tutta italiana”. In realtà, che l’opera non sia completata lo dimostra il lungo elenco di ciò che resta da fare: lavori funzionali, conche di navigazione, manutenzione delle paratoie, ponte radio, avvio dell’autorità della Laguna, opere ambientali, collaudi tecnici.