In una lunga intervista pubblicata dal Corriere della Sera, l'attore racconta della sua infanzia in una Perugia periferica e rurale, l’adolescenza da omosessuale timido e nascosto, la balbuzie che spesso ritorna
“Ho il morbo di Stargardt che mi fa vedere solo i contorni e non riesco a inventare le immagini”. Filippo Timi a cuore aperto in una lunga intervista pubblicata dal Corriere della Sera racconta della sua infanzia in una Perugia periferica e rurale, l’adolescenza da omosessuale timido e nascosto, la balbuzie che spesso ritorna, ma soprattutto la forza per superare gli ostacoli ed essere se stessi. “Dal caos nascono le stelle danzanti”, spiega Timi a Valerio Cappelli che lo ha intervistato citando Nietzsche.
“La balbuzie è meno forte però c’è ancora, a volte in scena non so se mi esce la frase. Mi costringe a un lavoro supplementare. Sono anche autoironico. La vita ti insegna che o soccombi, oppure le fragilità cerchi di usarle, e trovarvi un valore”, racconta il quasi 50enne in questi giorni protagonista dei nuovi episodi del BarLume su Sky e protagonista della serie dei fratelli D’Innocenzo, Dostoevskij, che avrà la sua prima alla Berlinale il prossimo febbraio. “Quando mi chiamavano fr***o era strano, era una parola che mi veniva sputata addosso con una colpa e un’accusa. Mi ha dato forza identitaria, anche se è stato difficile e doloroso”, ha ricordato Timi che a 21 anni ha lasciato famiglia e città per tentare fortuna come attore.
“Non mi sono sentito protetto dai miei genitori, che sono stupendi. Non si sentivano in diritto di potermi difendere. Non ce l’hanno fatta. A tavola c’era un silenzio di noi tre sull’argomento. Erano omofobi e razzisti, senza farlo apposta. Mio padre faceva la battutina su Renato Zero, poi aggiungeva comunque è bravo. In quel “comunque” c’è tanto. Sai quando ti regalano il giocattolo ma senza le pile? Io non avevo le pile”. Timi ricorda che con il successo tutto esteriormente sembra più “semplice”, ma interiormente non è cambiato granché. “Certi sguardi derisori addosso li ho sentiti anche pochi giorni fa in una macelleria. Inconsciamente, non hai voglia di vederli certi sorrisetti. Mi capita da quando, ragazzino, facevo pattinaggio artistico”. Infine il morbo di Stargardt che gli impedisce di vedere distintamente le immagini e che gli impedisce perfino di rivedersi e vedere i film interpretati: “Di fronte a me nei film abbasso lo sguardo. Non lo so perché. Anche se ne avessi voglia, tanto non vedrei nulla”.