Economia

“Riforma fiscale iniqua, abolizione del rdc, apertura al lavoro precario e sabotaggio del salario minimo. Così il governo Meloni consolida le disuguaglianze”

Oxfam nel nuovo Rapporto Disuguitalia fa il punto sulle politiche adottate finora dalla maggioranza di centrodestra. E chiede di invertire la rotta

Che eredità lascia il primo anno pieno di governo Meloni sul fronte della lotta alle disuguaglianze? Una riforma fiscale iniqua che conferma la flat tax per gli autonomi, offre ulteriori vantaggi a chi ha redditi finanziari, legittima una “modica quantità di evasione” delle partite Iva e rimodula l’Irpef solo per il 2024 ipotecando le future manovre. Una tassazione ondivaga sugli extraprofitti energetici, fallimentare per quelli delle banche. L’abolizione del reddito di cittadinanza, che lascerà oltre 500mila famiglie senza aiuti contro l’indigenza. Più libertà di assumere con contratti precari e il sabotaggio del salario minimo legale, che avrebbe aiutato i lavoratori deboli. Oxfam, nel Rapporto Disuguitalia diffuso come ogni anno nel giorno di apertura dei lavori del Forum di Davos, fa il punto sulle politiche adottate finora dalla maggioranza di centrodestra. Che si è distinta secondo la ong per scarsa attenzione alle fratture socioeconomiche che dividono l’Italia. “Tra le cause dell’aumento delle disuguaglianze c’è la sempre minore attenzione del potere politico a questioni centrali per il benessere dei meno abbienti: la progressività delle imposte, gli aiuti per gli affitti, le politiche di inclusione lavorativa e sociale”, spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su disuguaglianze e giustizia fiscale di Oxfam Italia. “Il governo Meloni non fa eccezione: i suoi interventi sembrano diretti a consolidare le posizioni di vantaggio dei già privilegiati”.

Il tutto in un Paese che negli ultimi 20 anni ha già assistito a una preoccupante “inversione delle fortune, cioè l’allargamento della distanza tra il 10% più ricco e il 50% più povero dei suoi cittadini, con la quota in mano ai più facoltosi cresciuta del 3,8% mentre quella della metà più svantaggiata calava di 4,5 punti. A fine 2022 il 20% più ricco deteneva quasi il 69% della ricchezza nazionale. Nel solo 2023 i multimilionari con oltre 5 milioni sono passati da 80.880 a 92.710 e quelli con patrimoni superiori a 50 milioni sono aumentati di 690 unità, a 5.395, accumulando 79 miliardi di dollari in termini reali. Intanto la povertà assoluta esplodeva complice l’inflazione, che quasi il 60% delle grandi imprese italiane ha scaricato sui consumatori aumentando i prezzi: i rincari hanno colpito molto di più le famiglie con bassi livelli di spesa rispetto a quelle benestanti.

Un trend, quello dell’aumento dell’indigenza, destinato ad aggravarsi ancora con il rallentamento dell’economia, la riduzione degli aiuti pubblici contro il carovita, l’erosione dei risparmi accumulati durante la pandemia e lo smantellamento del rdc sostituito da Assegno di inclusione (un sostegno riservato a specifiche categorie) e Supporto per la formazione e il lavoro (solo 350 euro per 12 mesi, non rinnovabili). La riforma, che segmenta i poveri in base a “criteri di meritevolezza stabiliti dal governo”, stando alle analisi del Comitato scientifico dell’Alleanza contro la povertà in Italia, ridurrà a 1,2 milioni i nuclei beneficiari di almeno un supporto: 500mila in meno rispetto al rdc. Scaduti i 12 mesi del Supporto, a restare scoperte saranno quasi 900mila famiglie.

Segnali migliori arrivano in apparenza dal mercato del lavoro, con dati record per il tasso di occupazione e quello di attività, ma “non c’è niente di cui gioire”, commenta Maslennikov. “Gli indicatori rimangono molto inferiori alla media Ue, la crescita annua degli occupati è concentrata tra le classi più anziane, restano immutati i forti squilibri tra aree del Paese e le conseguenze delle politiche di liberalizzazione del lavoro atipico. Che spesso, soprattutto per le donne, i giovani e i lavoratori stranieri, diventa una trappola da cui è difficile uscire”. Quanto ai salari, è noto come in Italia quelli reali siano cresciuti in un trentennio di un misero 1%. E un recente occasional paper di Bankitalia ha evidenziato come nel frattempo sia notevolmente aumentata la disuguaglianza delle retribuzioni.

Per invertire la rotta, Oxfam raccomanda all’esecutivo una serie di interventi ad hoc contro le disuguaglianze, che – val la pena ricordarlo – riducono l’efficienza e la produttività dell’economia, indeboliscono la coesione sociale e alimentano la sfiducia nelle istituzioni. Sul fronte delle misure di contrasto alla povertà, la richiesta è di tornare a un approccio universalistico che offra a chiunque sia in difficoltà l’accesso a uno schema di reddito minimo fruibile fino a quanto persiste il bisogno. Per contrastare il lavoro povero occorre secondo la ong limitare le esternalizzazioni e le forme contrattuali precarie, rendere efficaci erga omnes i ccnl principali, introdurre un salario minimo legale indicizzato all’inflazione, condizionare l’accesso agli incentivi per le imprese al rinnovo dei contratti scaduti (con relativi aumenti).

In campo fiscale, l’appello è per lo spostamento della tassazione dal lavoro a profitti e rendite finanziarie, l’abbandono di regimi cedolari preferenziali come flat tax e cedolare secca che comportano trattamenti fiscali differenti per contribuenti nelle stesse condizioni economiche, lo stop ai condoni che riducono l’adempimento spontaneo, una serrata lotta all’evasione con il rafforzamento delle attività di analisi del rischio fiscale e l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni come quella promossa da Oxfam attraverso la raccolta firme La Grande Ricchezza in partnership con Il Fatto. Potrebbe essere rivolta allo 0,1% più ricco della popolazione, con una franchigia di 5,4 milioni di euro, e accompagnata da una exit tax o accordi di cooperazione con altri Paesi per evitare il rischio di fuga all’estero per non pagare.

L’Italia, che nel 2024 presiede il G7, dovrebbe poi rispettare l’impegno di destinare entro il 2030 lo 0,7% del reddito nazionale lordo all’aiuto pubblico allo sviluppo, promuovere un accordo internazionale sulla tassazione dei grandi patrimoni tra i Paesi del G20 e supportare l’istituzione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sulla cooperazione fiscale internazionale, come prevede la risoluzione dei Paesi africani approvata a novembre. Proposte che sembra arduo possano essere accolte dall’esecutivo di Giorgia Meloni. Su una tassa minima globale sui super ricchi potrebbero però arrivare passi avanti grazie alla presidenza brasiliana del G20. Il presidente Lula ha appena varato in patria una legge che aumenta le aliquote sui fondi di investimento dei super ricchi e i conti offshore.