L’articolo 101 della Legge di Bilancio 2024 sancisce l’obbligo della tutela assicurativa contro i rischi idrogeologico e sismico: “le imprese […] con sede legale in Italia e le imprese aventi sede sono tenute a stipulare […] contratti assicurativi a copertura dei danni […] direttamente cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali verificatisi sul territorio nazionale. Per eventi da assicurare […] si intendono i sismi, le alluvioni, le frane, le inondazioni e le esondazioni”. Limitatamente alle realtà produttive e con la esclusione di quelle agricole, la copertura assicurativa delle catastrofi naturali diventa obbligatoria a più di vent’anni delle prime, infruttuose discussioni sulla necessità di mitigare il rischio anche senza ricorrere alle tradizionali opere d’ingegneria civile.
Lo Stato prende finalmente atto che il risarcimento a piè di lista è una chimera oltre che una illusione, visto che dall’unità d’Italia in poi il rischio non è mai diminuito bensì aumentato, nonostante le immani risorse impiegate per la riduzione della pericolosità1. Argini e scolmatori, murazzi e muraglioni, dighe e casse di laminazione costruiti in quasi due secoli di storia non sono bastati. Hanno certamente diminuito la pericolosità, giacché nell’arco di tempo che va dal 1801 al 1876, lungo l’asta del Po erano state contate ben 214 rotte d’argine, mentre dal 1918 al 2017 le rotte sono state soltanto 6, tre delle quali durante la piena del 19512. Non è pero diminuito il rischio che dipende non solo dalla pericolosità, ma anche dalla esposizione dei beni e dei patrimoni e dalla vulnerabilità del territorio e di ogni singola azienda, proprietà, bene mobile o immobile.
La legge stabilisce il principio che i premi siano proporzionali al rischio, non alla pericolosità. Esposizione e vulnerabilità giocano un ruolo altrettanto importante, in qualche caso perfino maggiore. Poiché un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy dovrà stabilire le ulteriori modalità attuative e operative degli schemi di assicurazione, sarebbe utile chiarire che i premi dovrebbero tenere conto della specifica situazione di rischio dell’azienda assicuranda, non da una generica pericolosità spesso individuata da mappature giocoforza soggette a notevoli incertezze. Va messo da parte il mantra per cui la grandissima parte dei comuni italiani sono considerati a rischio da chi fa di tutta l’erba un fascio. E, per gli indubbi effetti di retroazione ambientale dei disastri naturali, sarebbe utile coinvolgere anche il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Per risparmiare sui premi, le imprese a rischio alluvionale dovranno riflettere sulla concreta adozione di misure di mitigazione di rischio idrauliano, il cosiddetto flood proofing3, prestandovi una maggiore attenzione rispetto al passato. Le misure di flood proofing riducono drasticamente la vulnerabilità e, quindi, il rischio. In Europa e in Italia, manca tuttora una cultura scientifica e manageriale in tema di progetto e gestione di queste infrastrutture, permanenti o temporanee, capaci di ridurre fino ai tre quarti dei danni alluvionali. Poiché l’assetto assicurativo si dovrebbe concretizzare entro la fine del 2024, sia i quadri tecnici e amministrativi, sia le aziende a rischio, sia le compagnie di assicurazione devono recuperare un ritardo culturale non irrilevante. Altrimenti, la buona legge appena emanata si tradurrà in una grida manzoniana dalla modesta efficacia concreta.
Per i privati si vedrà. Una decina di anni fa il progetto Casa Sicura4 fu molto apprezzato e ricevette anche qualche premio. Non se ne fece mai nulla in concreto. Dovremmo ripensarci.