Mondo

Corsa alla Casa Bianca: un dato sempre ignorato rende medievale il sistema elettorale Usa

Nel diluvio di analisi, dichiarazioni di esperti e politologi, estrapolazioni e grafici sui risultati del voto alle primarie repubblicane in Iowa, andrebbe messo in evidenza un fattore cruciale: che Trump abbia stravinto su Nikki Haley e Ron DeSantis, come era largamente previsto dai sondaggi, non conta un granché. O se non altro, conta poco.

Nella lunga ed estenuante corsa alla Casa Bianca in cui il gelido stato del centro-nord America è solo la prima casella del monopoli (i democratici voteranno per le loro primarie in Iowa a marzo), un elemento fondamentale viene regolarmente ignorato: come funziona la legge elettorale americana. Il complicato sistema di voto negli Stati Uniti rende realistico lo scenario che l’ex presidente, ex palazzinaro ed ex tycoon sia non solo il candidato repubblicano alle presidenziali del prossimo 5 novembre per un rematch con Joe Biden – a questo punto una certezza – ma possa riprendere veramente possesso dell’Oval Office nel gennaio 2025. Anche se bisognerà vedere che esito avranno i quattro processi che vedono Trump alla sbarra per 91 diversi capi d’accusa (elemento che però lo rafforza, più che indebolirlo, agli occhi del suo elettorato). In un quadro più ampio il tutto accade perché in America è in vigore un sistema elettorale medievale. Esatto: medievale. Altro che il nostro Rosatellum.

La superpotenza numero uno al mondo, campione del capitalismo occidentale, leader militare della Nato e principale attore per contenere i nemici sistemici (Russia e Cina), in termini di ‘minimo comune denominatore’ democratico è arretrata peggio dell’Afghanistan o dell’Iraq. Senza qui parlare dei caucus (in Iowa e in altri stati è un incontro che si svolge in presenza tra i sostenitori di un partito politico o di un movimento per scegliere i delegati per la Convention di Milwaukee del Gop, Great Old Party) il fattore chiave è che per l’Election Day di novembre alla Camera e al Senato vigono criteri di voto diversi. Per noi europei inconcepibili e inaccettabili.

Un esempio per tutti. La Costituzione degli Stati Uniti consente alla California – mega-Stato con 40 milioni di abitanti e un Pil di 3,9 trilioni di dollari che lo inserirebbe di diritto tra i paesi del G7 – di eleggere due Senatori al Senato, esattamente come il North Dakota, irrilevante staterello del centro nord americano che di abitanti ne ha tanti quanti 4 municipi di Roma, ovvero 750.000. Anche lo Iowa esprimerà alle presidenziali di novembre due senatori, con una popolazione di 3,2 milioni di persone. Così come il Texas, che ha dieci volte il numero di abitanti. Fin quando il sistema elettorale degli Stati Uniti non cambierà, con un effettivo ribilanciamento che tenga conto del voto popolare, le elezioni americane continueranno ad essere un colossale falso, con un Senato eletto con criteri che non rispecchiano la fotografia reale e il peso specifico dell’economia e della demografia di ciascuno dei 50 stati della Federazione. Trump avrà ancora potere soprattutto per questo motivo. Assurdo che la volontà del popolo non sia rappresentativa, alla luce dei cambiamenti demografici intervenuti negli ultimi decenni.

Per cambiare il sistema è richiesta una super maggioranza di due terzi del Congresso o di due terzi dei governatori degli stati, molto difficile da ottenere. Mentre in precedenza la nazione era divisa principalmente in base a linee filosofiche e religiose, ora è divisa per lo più in base a linee geografiche. I repubblicani hanno maggiori probabilità di essere eletti negli stati rurali (la maggior parte dei voti a Trump vengono dall’America di mezzo, a basso livello di educazione e reddito); i democratici invece negli stati a forte presenza urbana. È stato così da quando la Costituzione degli Stati Uniti è stata ratificata e da quando la nazione è cresciuta da 13 stati a 50 stati.

Ma alcuni critici ora sostengono che l’uguaglianza tra stati è antidemocratica, lo è per l’America, gli americani nel complesso. Spaventati dalla forza di Trump, alcuni progressisti sostengono che il Senato sta diventando così antidemocratico da essere ormai ingovernabile, e com’è ovvio facilmente manipolabile dai miliardari e grandi ricchi, quasi sempre di destra. C’erano differenze nella popolazione tra i 13 stati originari, ma impallidiscono rispetto a oggi. Nel primo censimento del 1790, la Virginia era lo stato più popoloso, con un totale di oltre 700.000 persone. Era circa 12,5 volte più grande del Delaware, con 59.000 abitanti. Negli ultimi decenni, le differenze tra gli Stati hanno esacerbato la natura non democratica del Senato. Oggi la California è 68 volte più grande del Wyoming, che conta 580.000 abitanti.

I critici affermano che ciò viola la regola “una persona, un voto” e hanno proposto una “Legge di riforma del Senato”. Manterrebbe il Senato pari o vicino alle sue dimensioni attuali (100 seggi) ma garantirebbe a ogni Stato un solo membro. Il resto verrebbe assegnato proporzionalmente in base alla popolazione e riadattato ad ogni censimento. Con questa nuova formula, la California otterrebbe 12 senatori, Washington ne avrebbe ancora due e l’Idaho solo uno. Ma oggi non è così, e la “Legge di riforma del Senato” finora non è andata da nessuna parte, anche se un riaggiustamento per la Camera avviene dopo i censimenti, ogni dieci anni. Fin quando la California con i suoi 40 milioni di cittadini eleggerà due senatori come il North Dakota (meno di un milione di abitanti), la politica in America rimarrà in mano a gruppi di pressione e lobbisti di varia specie (da notare che c’è anche il South Dakota, diviso dal North Dakota da una riga orizzontale tracciata sulla mappa nel deserto. Anche questo insignificante Stato, 775.000 abitanti, eleggerà due senatori).

In questo quadro, Trump ha tessuto abilmente la sua tela con la tipica strategia suprematista fatta di dichiarazioni incendiarie su migranti, marxisti, gay eccetera. Nel frattempo, però, ha agito anche a livello istituzionale. Così il sostegno che Trump ha accumulato tra i repubblicani del Congresso supera di gran lunga quello dei suoi principali oppositori. Stando alle ultime rilevazioni di FiveThirtyEight.com, l’ex presidente ha già oggi il sostegno di 111 repubblicani alla Camera e 24 senatori (ci sono attualmente 220 repubblicani in carica alla Camera e 49 al Senato). Il raffronto con i concorrenti è impietoso. Il governatore della Florida Ron DeSantis ha il sostegno di 5 repubblicani alla Camera e nessun senatore. L’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite Nikki Haley ha il sostegno di un repubblicano alla Camera e di nessun senatore.

Infine, c’è il capitolo soldi. Cioè la possibilità di influenzare il voto tramite la pubblicità. Si prevede che il budget pubblicitario per le elezioni americane riversato su tv, web e un misto delle due raggiungerà quest’anno un nuovo record assoluto: 16 miliardi di dollari. Un aumento del 31,2% rispetto alle elezioni presidenziali del 2020. Benvenuti nella democrazia americana.