Da una ricchezza abbagliante la piccola isola-Stato di Nauru, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, ha conosciuto in pochi decenni il tracollo economico che l’ha spinta sull’orlo del default. Gli anni d’oro in cui le ricche miniere di fosfato, estratto dagli escrementi dei volatili, facevano del Paese con soli 12mila abitanti uno di quelli con la ricchezza pro-capite più alta al mondo sono ormai un ricordo lontano. Con l’esaurimento delle risorse, sull’isola sono rimaste una devastazione ambientale che non la rende attrattiva per il turismo, un’economia inesistente e la necessità di racimolare qualche milione di dollari accogliendo i migranti che l’Australia non vuole gestire: un campo profughi a cielo aperto dove gli abitanti che fino a qualche anno fa giravano in Lamborghini e vivevano in case di lusso oggi vantano il poco nobile primato del più alto tasso di obesità e di fumatori al mondo.
Così, quando inaspettatamente questo staterello senza nemmeno una capitale ufficiale è finito al centro del gioco geopolitico tra il gigante cinese e Taiwan, è apparsa l’opportunità di risollevarsi e tornare, se non ai vecchi fasti, a condizioni di vita più vantaggiose. È in questo contesto che il Paese ha annunciato la chiusura dei rapporti diplomatici con Taiwan, dopo essere stato uno dei soli 13 Stati al mondo che riconosceva ufficialmente la Repubblica di Cina, per legarsi alla Repubblica Popolare Cinese definendo Taipei “parte inalienabile del territorio cinese”. Per Pechino è una mossa per aumentare la pressione sull’Isola Ribelle, nella quale si sono appena tenute le elezioni presidenziali che hanno portato il progressista William Lai alla guida del Paese, il candidato più inviso a Pechino, e aumentarne l’isolamento internazionale. Per Nauru, invece, un modo per legarsi a una potenza economica che possa in futuro contribuire a risollevare la disastrata economia nazionale.
Quella della Repubblica Popolare resta comunque una mossa più politica che strategica, dato lo scarso rilievo internazionale di Nauru. Ma a Taiwan la notizia è stata comunque accolta “con profondo rammarico“: “Annunciamo la cessazione delle relazioni diplomatiche con Nauru. Questo tempismo non rappresenta solo una ritorsione della Cina contro le nostre elezioni democratiche, ma anche una sfida diretta all’ordine internazionale”, si legge infatti in una nota il ministero degli Esteri. Soddisfazione, invece, arriva da Pechino che si dice pronta “ad aprire un nuovo capitolo dei rapporti” con l’isola-Stato del Pacifico.
La Repubblica Popolare è poi partita all’attacco degli Stati Uniti che hanno contestato la decisione di Nauru. Fanno “tutto il possibile per diffamare i suoi sforzi diplomatici (della Cina, ndr) e per incoraggiare Taiwan a espandere il proprio spazio sulla scena internazionale”, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, rispondendo al Dipartimento di Stato americano che aveva definito “deludente” la decisione di Nauru.