Cultura

La piccola Hempel, in anteprima alcuni brani del racconto agghiacciante di una sopravvissuta all’eugenetica nazista

In libreria il volume pubblicato da Utet sulla testimonianza oculare dì Elvira Hempel Manthey. Nata nel 1931, figlia di un perdigiorno alcolizzato, quindi destinata ad una rapida detenzione in ospedali, picchiata, imprigionata, soppressa con una puntura o in una camera a gas (come la sorella): Elvira sopravvisse e recentemente ha raccontato la sua storia

di Davide Turrini

Sopravvissuta all’eugenetica nazista. Quando leggerete La piccola Hempel (Utet), il libro biografico di Elvira Hempel Manthey di cui il FattoQuotidiano.it vi offre due pagine in anteprima, capirete di avere tra le mani un nuovo terrificante e orribile capitolo dei disumani crimini nazisti. Nata il 6 ottobre 1931 a Magdeburg, in Sassonia-Anhalt, Elvira è scampata allo sterminio sistematico dei figli di genitori definiti asoziale, sorta di “degenerati” e “inferiori” che “secondo la circolare del Ministero dell’interno del Reich del 14 dicembre 1937 “era un individuo che si comporta nei confronti della collettività in modo non costituente di per sé un reato, ma che tuttavia rivela la sua incapacità di adattamento”.

Ad esempio il padre della piccola Elvira e della sorella più piccola Lisa, che verrà prelevata con Elvira e uccisa in una camera a gas nel 1939, era un alcolizzato che tirava a campare con furti e imbrogli. Ciò bastava per diventare soggetti del “radicale sradicamento degli elementi biologicamente indesiderabili dallo stato nazista. Un altro meccanismo di sterminio, insomma, per la purificazione della razza ariana di cui non si conosce praticamente nulla, ma che grazie alla testimonianza oculare di Elvira si trasforma in un documento eccezionale, privo di mediazioni sulle barbarie di quegli anni in territorio tedesco. La bambina, considerata una ritardata irrecuperabile (“unterwertig”) venne internata in una specie di istituto ospedaliero di Uchtspringe dove ogni giorno dopo aver subito punture molti bambini sparivano.

Il racconto di Elvira è agghiacciante. C’è il signore della morte che passa con un carretto. Le infermiere che fanno fare il bagno i bimbi piccoli infilandoli nelle vasche a testa in giù e per i sopravvissuti botte e camicie di forza, fino, appunto, all’improvvisa sparizione. Elvira verrà presto separata dalla sorella e poi continuerà la sua odissea in una prigione, in un manicomio e infine per una sorta di dissonante valutazione burocratica verrà recuperata dalla madre evidentemente non più considerata asoziale. La prosa è ruspante e vivida, con i tempi verbali che spesso saltano, ma che, come suggerisce la traduttrice del libro, andavano tenuti tali proprio per la naturalezza del racconto biografico in prima persona. Furono più di cinquemila bambini uccisi nei reparti speciali e i corpi di molti vennero utilizzati per la ricerca e la sperimentazione scientifica. Elvira invece morì a 83 anni, nel 2014, in una casa di riposo di Lubecca con accanto il marito Heinz.

Per decenni cercò di essere riconosciuta vittima del nazismo, ma solo nel giugno del 1996, “dopo aver chiesto a lungo l’annullamento della diagnosi formulata cinquantotto anni prima da Fünfgeld, la Commissione federale tedesca per le petizioni ascoltò il caso di Elvira e annullò lo status di “debolezza mentale”. Del resto il nazismo sembra come una sorta di apice sterminatore di un atteggiamento di annientamento degli asociali ben presente anche prima dell’affermazione delle follie eugenetiche del Furher. “Il dibattito sulla necessità di concedere una morte misericordiosa alle “vite indegne”, iniziato ben prima dell’avvento del nazismo e diffuso in molti paesi, era tuttavia rimasto sul piano teorico fino alla fine della Repubblica di Weimar”, è scritto nella prefazione storica di La piccola Hempel. “In Germania si inasprì immediatamente dopo la fine del primo conflitto mondiale, che per molti aveva reso insostenibile il peso di coloro che venivano considerati “mangiatori inutili“, i pazienti degli ospedali psichiatrici e i malati incurabili. Mantenuti dallo Stato, ma senza produrre nulla in cambio, erano visti come “esistenze zavorra”.

L’ESTRATTO IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA

Dovetti indossare il mio bellissimo vestito a fiori e in più mi misero un cappello in testa. Mi sentivo come uno spaventapasseri. Con il treno, siamo andati verso Magdeburg-Sudenburg, in un ospedale.
Lì c’era un certo Prof. Dr. Fünfgeld.
Quest’uomo senza scrupoli mi ha diagnosticato come «debole di mente».
Sono stata fotografata e poi siamo tornati indietro.
Non sarei rimasta ancora a lungo in quell’orfanotrofio.
Il 6 settembre 1938 sono stata portata in un manicomio a Uchtspringe.

Sono arrivata nel padiglione numero 50, in cui erano ammessi solo bambini.

Il 6 settembre 1938 il Dr. Fünfgeld visitò Elvira e la diagnosticò come “debole di mente”.
La paziente si presenta per l’ammissione. È pulita. Risponde alle domande. Può mangiare e camminare da sola. Racconta che i capelli le sono stati tagliati perché aveva un’eruzione cutanea.
estratto dal fascicolo dell’istituto 6.9.38

All’estremità sinistra del lungo corridoio si trova il dormitorio. Mi assegnano il letto dietro la porta. Nella brandina accanto dorme mia sorella. Mi viene urlato di spogliarmi. Qui si respira un’atmosfera simile a una caserma. Tutto è brusco e impersonale. Sono terribilmente triste e tremo di paura. So che devo rimanere qui. Mi spoglio, mi viene tolto il vestito e me ne danno uno bruttissimo. Adesso sono, per legge, un’“idiota”. E per gli idioti un abito del genere è più che sufficiente. Mi conducono nella sala comune. È una stanza molto piccola. Qui i bambini sono stipati. Sulla porta c’è una finestrella, attraverso la quale si può sbirciare. Mi viene ordinato: «Qui di fronte c’è il bagno, puoi andarci. Poi devi rimanere in questa stanza! Altrimenti le prendi».

Vedo mia sorella e inizio a piangere. Stiamo lì, tengo Lisa tra le braccia, piangiamo e piangiamo. La mia piccola Lisa ha una vita così terribile ed è ancora così piccola. Ma almeno ora siamo insieme. So che devo stare qui, sono delusa e non riesco a smettere di piangere. Piango così a lungo che non riesco più a vederci bene.

È sempre allegra e di buon umore. Ha un buon appetito. Dorme bene di notte. Bagna il letto. Quando le viene chiesto se se ne accorge, si vergogna e dopo ripetute domande risponde di no.
estratto dal fascicolo 10.9.38

Qui sono circondata da persone molto malate, non ho mai visto nulla del genere. Un bambino ha solo un occhio, un altro ha una testa molto piccola, il cranio non è cresciuto insieme a lui. Un altro ha metà del viso sfigurato, molti hanno attacchi epilettici.
La prima notte è la peggiore. Alcuni malati cadono dai loro letti e poi vanno in giro. Uno di loro picchia mia sorella. Sento lo schiaffo. Sono paralizzata nel mio letto. Lisa piange disperatamente. Ho paura di alzarmi. Voglio aiutarla, ma non so come fare. Rimango immobile nel mio letto, e quando mi sporgo vedo gli scarafaggi, quelle bestiacce marroni, correre sul pavimento. Sono paralizzata, piango. E gli schiaffi continuano, mentre la mia Lisa è seduta nel suo letto e urla. Resto immobile e non so cosa fare. Piango tutta la notte. La mattina successiva ho gli occhi gonfi di pianto.

Copyright © 2021 by Mabuse-Verlag GmbH
Illustrazioni © Elli Koll
Per l’edizione italiana:
© 2024, De Agostini Libri S.r.L.

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