Per una notte il destino degli Stati Uniti, e un po’ anche quello del mondo, è nelle mani di centinaia di migliaia di contadini dello Iowa, che vanno a votare nonostante bufere di neve, vento gelido, temperature polari. Donald Trump vince, anzi stravince: supera il 50% dei voti. Ron DeSantis arriva secondo, quando non ci sperava più neppure lui, poco sopra il 20%. Nikki Haley è terza e delusa, poco sotto il 20%. Vivek Ramaswamy, ricco e giovane imprenditore tech, quarto con meno dell’8%, lascia la corsa e dà il proprio appoggio al magnate ex presidente, di cui è un clone.

Grande quasi come mezza Italia (146 mila kmq), lo Iowa, una pianura uniforme, 3.100.000 abitanti, ha una forte comunità d’origine tedesca o scandinava, gente un po’ rude e chiusa. Bianchi e protestanti in grande maggioranza: neri ce ne sono relativamente pochi, musulmani meno. Non è uno spaccato dell’Unione, ma ne è un tassello del puzzle.

I risultati dei caucuses dello Iowa, primo atto delle primarie verso Usa 2020, danno un’impronta alla corsa alla nomination repubblicana. Attenzione però: nel XXI secolo, se non c’era di mezzo un presidente in carica, i repubblicani dello Stato non ci hanno mai azzeccato: hanno sempre scelto su un cavallo perdente. Vero è che, stavolta, i distacchi sono nettissimi, mentre nel 2008, nel 2012, nel 2016, tutto s’era giocato in un fazzoletto di voti. Trump vince con un distacco di 30 punti, oltre il doppio del primato precedente di Bob Dole nel 1996.

I media Usa, conservatori o liberal, non hanno dubbi che la vittoria di Trump sia un grosso passo verso una rivincita con Joe Biden il 5 novembre, il giorno delle elezioni presidenziali. I repubblicani dello Iowa hanno avallato le sue promesse di America First e fatto spallucce ai suoi guai giudiziari: anche oggi sarà in un’aula di tribunale, per una vicenda legata a una violenza sessuale.

Il magnate s’è imposto in tutte le aree sociali, a partire dagli evangelici, mostrando debolezze solo nei sobborghi abbienti delle maggiori città. Qui, nel 2016, era arrivato secondo dietro Ted Cruz; da allora, ha seminato caos e polarizzazione, ha subito due impeachment ed è attualmente accusato in quattro procedimenti penali, di cui due per avere tentato di sovvertire l’esito del voto del 2020 vinto da Joe Biden. Eppure, Trump ha saputo mobilitare la sua base e mantenere la presa sul partito, facendo delle accuse una “caccia alle streghe” orchestrata da Biden “l’usurpatore”.

Stando ai risultati dei caucuses, ancora non definitivi, Trump ottiene 20 dei 40 delegati dello Stato alla convention repubblicana – meno del 2% del totale -, DeSantis 8 e Haley 7. E adesso tutti guardano già al New Hampshire, dove si vota il 23 gennaio – alle urne lì andranno pure i democratici, che nello Iowa votano più avanti: Trump cerca una conferma in uno Stato più liberal, a lui meno favorevole; Haley il colpo di reni per ridare slancio alla sua campagna; DeSantis ossigeno per restare in corsa, dopo avere speso molto denaro e molte energie nello Iowa. Per Trump va bene così: se DeSantis e Haley continuano a battagliare per il secondo posto, la sua leadership è più netta.

“Ci avevano dato per spacciati ma andiamo avanti”, commenta il governatore della Florida. E l’ex governatrice della South Carolina si congratula con Trump, ma avverte: “Se lui sarà il candidato, Biden può vincere di nuovo”. Il magnate ex presidente gongola: “Sono onorato e rinvigorito da questa vittoria”. Il suo ‘discorso della vittoria’ inizia con toni inconsueti: auspicio di unire il Paese – lui che ne è il divisore -, congratulazioni ai rivali, ringraziamenti alla propria famiglia, compresa la suocera appena morta. Ma poi Trump torna se stesso: attacchi a Biden, “il peggior presidente nella storia Usa” e il regista dei suoi processi (“una interferenza elettorale”); e la promessa di “sigillare il confine con il Messico contro l’invasione di criminali e terroristi”, attuando “un sistema di deportazioni come non si vede” dagli anni Cinquanta.

Biden riconosce che, dopo lo Iowa, Trump “è il favorito per la nomination repubblicana”; e avverte che ci saranno “vili attacchi, bugie infinite e spese massicce”. Lo speaker della Camera, repubblicano e ‘trumpiano’, Mike Johnson, parla di “una vittoria decisiva e storica, che “dovrebbe riunire il partito repubblicano in modo da poter ottenere la vittoria definitiva a novembre”.

Ora i tre candidati superstiti vanno in New Hampshire, ma Trump fa tappa a Manhattan, dove lo attende una seconda causa per diffamazione della scrittrice Jean Carroll, che si sarebbe inventata – dice lui – un’aggressione sessuale da parte sua.

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