di Carmelo Sant’Angelo
Da settimane, a reti unificate, ci raccontano la parabola del “sindaco intimorito”. Racconto liberamente ispirato al passo del Vangelo riguardante la “guarigione del cieco di Gerico”. Riferiscono i sedicenti cantori liberali: “Mentre si avvicinavano alla buvette, un sindaco era seduto a lamentarsi lungo la strada. Questi, con una penna in mano, chiedeva aiuto. Avrebbe voluto firmare, ma la paura lo bloccava. Invocava, pertanto, l’intervento del governo. Il Guardasigilli, sensibile al grido di dolore, chiese che il sindaco fosse portato al suo cospetto. ‘Ma è del Pd’ dissero in coro dal suo entourage. ‘Lasciate che i piddini vengano a me’. Giunto in sua presenza, il sindaco disse: ‘Ministro, liberami dalla paura della firma’. Il Ministro toccò la penna del sindaco e questi andò via saltellando e lanciando autografi”.
Se ci fosse un briciolo di onestà intellettuale in questo racconto il Ministro avrebbe dovuto chiedere: “Di grazia, signor Sindaco, mi fa vedere un atto amministrativo sottoposto alla sua firma?”.
Il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo (sindaco incluso), e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, è stato introdotto dal d. lgs. 29/1993 e accentuato dal legislatore con la legge 59/97; il d. lgs. 80/1998; il d. lgs. 165/2001 e consacrato nell’art. 107 del Testo Unico degli Enti Locali. In particolare il comma 2 della citata norma recita: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno” ad eccezione di quelli rientranti tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo spettante agli organi di governo dell’ente oppure rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale.
Come ribadito più volte dalla Corte Costituzionale, questa separazione deriva dal principio di imparzialità previsto dall’art. 97 della Costituzione. Affinché l’amministrazione pubblica sia imparziale è necessario separare la politica dalla gestione amministrativa. La prima fissa gli obiettivi da raggiungere, mentre i dirigenti si preoccuperanno di far funzionare la macchina pubblica. Mentre l’azione del governo è espressione di una parte politica, che esprime, pro-tempore, una maggioranza, l’azione dell’amministrazione “nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento” (Sent. Corte Cost. n. 453/1990).
Tutto ciò premesso, di cosa si lamentano i sindaci? Forse non tollerano il rifiuto dei dirigenti, che si trincerano dietro la paura della legge penale? Abolito l’abuso d’ufficio, nelle intenzioni di questi legislatori, cadrebbe l’ultimo baluardo, il provvidenziale paravento del dirigente scrupoloso. Pensano forse di poter liberamente esercitare le loro pressioni sui dirigenti per favorire parenti, amici, amanti e sodali? In tal caso, immaginiamo il sindaco, come il duca-conte Semenzara, scegliere al tavolo verde su quali interessi puntare le sue fiches. Il nero vince, il rosso perde. Rien ne va plus. E il dirigente che non si adeguerà sarà un abietto “menagramo d’un menagramo”.