C’era chi riceveva 50 centesimi per una fibbia e chi 1,25 euro per la scarpa superiore di una scarpa. Dormivano nei capannoni delle ditte sub-appaltatrici, adibiti a dormitorio, dove le condizioni igienico-sanitarie sono state ritenute dai carabinieri sotto il “minimo etico”. C’erano infatti “muffe” e “impianti elettrici di fortuna”. Funzionava così la catena produttiva della società Alviero Martini spa, totalmente esternalizzata – secondo il Tribunale di Milano – senza alcun controllo da parte dal brand di lusso, ora messa in amministrazione giudiziaria.
La società di alta moda non è indagata, ma per il tribunale, le criticità emerse nei confronti dei lavoratori impongono che un’impresa “rappresentativa del ‘Made in Italy’ tanto apprezzato all’estero, ed avente rilevanti dimensioni”, possa “adeguare i presidi di controllo interno” in modo da evitare “che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e sub appalti con realtà imprenditoriali che adottino le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori” e rafforzi i presidi “relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell’azienda”.
Alla base del provvedimento ci sono le ispezioni dei carabinieri nelle fabbriche cinesi nelle province di Milano, Monza-Brianza e Pavia, dove sono stati trovati una quarantina di lavoratori in nero su circa 200 operai. “Vengo pagato 1,25 euro a tomaia (la parte superiore di una scarpa, ndr) durante la settimana dormo sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio (…) in una giornata lavorativa produco circa 20 paia di scarpe (…) percepisco un bonifico mensile di circa 600 euro che ci paga il titolare che produce tomaie relative all’azienda Alviero Martini”, ha messo a verbale un lavoratore cinese.
I lavoratori, stando agli atti, percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà, ossia poco più di 6 euro all’ora, e stavano in luoghi con “micro camere”, ritneute “completamente abusive”, con “chiazze di muffa” e con “impianti elettrici di fortuna” e “concretamente idonei a innescare incendi da sovraccarico e corto circuito”. Non solo: sui macchinari non erano presenti i dispositivi di sicurezza, gli agenti chimici utilizzati per la produzione non erano conservati in modo da garantire la sicurezza da contaminazioni. Un altro operaio ha messo a verbale: “Percepisco 50 centesimi ogni fibbia rifinita (…) non sono mai stato visitato dal medico dell’azienda”. Le ditte erano attive a Castano Primo, Pieve Emanuele, Grezzago, Villanova d’Ardenghi (Pavia) e Caponago (Monza Brianza)
E c’è anche un morto sul lavoro, un operaio in nero e il giorno dopo l’infortunio in cui ha perso la vita regolarizzato da una delle società appaltatrici. La vicenda, stando al provvedimento, risale allo scorso 24 maggio: nei capannoni della ditta di Trezzano Sul Naviglio, nel Milanese, un lavoratore di 26 anni, originario del Bangladesh, è morto schiacciato dalla caduta di un macchinario. Ma, “per camuffare l’effettivo status di lavoratore in nero” dell’operaio, il giorno dopo la società appaltatrice “ha inviato il modello telematico di assunzione al Centro per l’impiego e agli enti contributivi e assicurativi Inps ed Inail”. Stando alle indagini, l’opificio cinese si sarebbe fatto pagare 20 euro per un prodotto venduto sul mercato a 350 euro. Seguendo la catena dei subappalti della produzione, poi, l’azienda di alta moda, secondo gli investigatori, avrebbe pagato il prodotto finale 50 euro.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Con riferimento alla notizia di stampa riferita alla nostra Società, l’Alviero Martini S.p.A comunica di essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la Società né i propri rappresentanti, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro. Si ribadisce in ogni caso che tutti i rapporti di fornitura della Società sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della Società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l’azienda stessa.
La Alviero Martini S.p.A. NON ha tratto alcun profitto dalla commissione degli illeciti riscontrati dalla Procura.