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Il Parlamento Ue vara la sua proposta di riforma del Patto di stabilità, a metà strada tra Berlino e Roma

Il Parlamento Ue ha approvato il mandato negoziale per andare a discutere della controversa riforma del Patto di Stabilità. La linea del Parlamento è più vicina a quelli che erano i desiderata italiani rispetto alla “bozza” su cui si sono accordati i ministri economici europei e che lo stesso Giancarlo Giorgetti ha detto essere un compromesso non del tutto soddisfacente. La posizione negoziale ha ottenuto 431 voti a favore, 172 contrari e 4 astenuti. Tra i deputati italiani hanno votato a favore quelli di Pd, Lega, Forza Italia e Italia Viva. Contraria invece le delegazione del Movimento 5 stelle, Massimiliano Smeriglio, eurodeputato del gruppo socialista ma non iscritto al Pd, Andrea Cozzolino, l’ex Pd oggi nei non iscritti e tutti i quattro eurodeputati italiani dei Verdi. “Mi ha sorpreso il Pd – ha commentato il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte – perché avevo visto ben altre dichiarazioni quando questo “pacco” ci era stato confezionato. Ma noi continuiamo a essere coerenti: ci batteremo in Europa per una revisione profonda del Patto di stabilità e crescità, per fare in modo che sia un patto di sviluppo sociale”.

Nel merito, i deputati propongono di stabilire dei valori numerici chiari per la riduzione necessaria del debito eccessivo e di consentire nuove deviazioni dal percorso fissato, con l’obiettivo di garantire ai Paesi Ue un maggiore margine di investimento. Nel testo si propone inoltre un periodo supplementare di 10 anni per completare la riduzione del debito eccessiva,; l’orizzonte temporale dei piani di rientro sarebbe quindi di 14 o di 17 anni. Per il Parlamento sarebbe sufficiente che, alla fine del periodo di aggiustamento, il rapporto debito/Pil non sia aumentato. L’indebitamento dovrebbe comunque essere ridotto dell’1% annuo in media per i Paesi con un debito oltre al 90% e dello 0,5% per quelli con un debito tra il 60 e il 90% del Pil. Oltre a quanto già previsto dal Consiglio, l’Europarlamento vuole che vengano esclusi dal calcolo del deficit anche le spesa per il cofinanziamento dei programmi Ue fino a un massimo dello 0,25% del Pil e i costi per ottenere i prestiti del Pnrr. Nella proposta si prevede infine che la Commissione possa eccezionalmente consentire a uno Stato di discostarsi dai piani di spesa per un periodo massimo di cinque anni nel caso si tratti di investimenti strategici relativi alle priorità indicate a livello Ue, come potrebbero essere quelli per la transizione energetica.

L’iniziale formulazione della riforma messa a punto dalla Commissione Ue prevedeva una sorta di rivoluzione copernicana, riconoscendo, dopo il Covid, che gli stati hanno un ruolo cruciale da svolgere quando si tratta di salvare il sistema dalle crisi. Su impulso della Germania, questa impostazione è stata però gradualmente ribaltata e l’accordo raggiunto all’Ecofin torna a dare la priorità al controllo delle finanze pubbliche. È stato inoltre escluso il principio della “golden rule” su cui aveva molto puntato l’Italia, ovvero la possibilità di non conteggiare alcuni tipi di investimenti (transizione verde etc) nei deficit pubblici. L’unica concessione in tal senso riguarda le spese per la difesa.

“Alla Commissione per definizione ci piacciono tutti… dobbiamo assolutamente lavorare per un compromesso. Sappiamo che l’accordo raggiunto dal Consiglio per diversi aspetti è diverso dalle proposte iniziali della Commissione, ma sappiamo anche che nonostante questo è un passo avanti notevole rispetto alle regole precedenti”, ha detto il commissario Ue agli Affari Economici Paolo Gentiloni rispondendo a chi gli chiedeva se preferisse l’intesa raggiunta il 27 dicembre dai ministri europei o il testo votato oggi dal Parlamento. “È chiaro che la Commissione Ue si augura che l’entrata in vigore sia il più rapida possibile ma sarà una decisione che sarà presa dai diversi governi. Ripeto, non è un momento in cui l’Ue può permettersi di tornare alle vecchie regole o di avere incertezza“.

Una sponda alla posizione del Parlamento è arrivata dal governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, che ha deplorato la ”complessità” delle nuove regole di bilancio adottate a dicembre dai ministri delle Finanze dell’Ue. Intervenendo dinanzi alla commissione Finanze del Senato francese, de Galhau ha dichiarato che queste nuove regole hanno ”il merito di esistere” anche se a suo avviso sarebbe stato meglio avere criteri “numerici”, piuttosto che lasciare l’apprezzamento dei conti pubblici dei vari Paesi al solo ”giudizio” degli Stati Ue. “Se ho un rammarico – ha sintetizzato – è la loro complessità”. Peraltro la versione della riforma su cui si è accordato l’Ecofin è frutto di un’intesa preliminare raggiunta proprio dai ministri di Francia e Germania.