L’Iran è sempre più impegnato in una strategia di aumento della tensione in Medio Oriente e in Asia e la lunga mano degli Ayatollah ha inaspettatamente deciso di non risparmiare il Pakistan. Ieri dal territorio iraniano sono partiti dei missili diretti verso la zona di confine del Belucistan, destinati, pare, a colpire postazioni militari del gruppo estremista sunnita Jaish al Adl. Al momento le vittime accertate sono due bambini residenti nella zona e la reazione di Islamabad, per ora a livello diplomatico, non si è fatta attendere: l’ambasciatore pachistano in Iran è stato immediatamente richiamato in patria e il rappresentante diplomatico iraniano è stato convocato dal ministero degli Esteri del Pakistan, che ha tuonato minacciando possibili “gravi conseguenze per un attacco totalmente inaccettabile”.
La mossa di Teheran, più che essere legata alla questione israelo-palestinese, si inserisce in un confronto latente con il Pakistan che va avanti avanti da tempo e vede i due giganti regionali – uno il campione degli sciiti a livello globale e l’altro, con oltre 230 milioni di abitanti, uno dei più popolosi Paesi a maggioranza sunnita al mondo – scambiarsi periodicamente accuse reciproche di attentare alla rispettiva stabilità interna. La zona colpita dall’attacco iraniano è particolarmente calda sul fronte della sicurezza, considerando che numerosi movimenti vi operano, tra cui la “filiale” locale dei Talebani o il Movimento Separatista del Belucistan. Quest’ultimo compie con grande frequenza attacchi nell’area di confine – lungo quasi mille chilometri – colpendo le forze di sicurezza pachistane e tentando spesso di attaccare anche il personale cinese presente nell’area. La Cina, infatti, ha nel Pakistan uno dei suoi alleati di ferro nella regione: Pechino ha investito decine di miliardi di dollari nella versione pachistana del progetto infrastrutturale Belt & Road Initiative e proprio in Belucistan ha sede il porto di Gwadar, fondamentale per la logistica regionale.
Non è un caso quindi che, dopo l’attacco iraniano, dalla Repubblica Popolare sia subito arrivato un richiamo alla moderazione: la portavoce del ministero degli Esteri cinese ha chiesto a Iran e Pakistan di evitare qualunque azione che possa portare a un’escalation e di lavorare di concerto per favorire la stabilità regionale. Pechino, sempre molto pragmatica nella propria proiezione internazionale, oltre che a Islamabad è particolarmente vicina anche a Teheran: con quest’ultima nel marzo 2021 è stato siglato un patto di cooperazione politica, strategica ed economica della durata di 25 anni che dovrebbe portare a una crescita molto significativa della presenza e degli investimenti cinesi in numerosissimi settori economici iraniani. Non solo, perché oltre che il porto di Gwadar, la Cina utilizza anche il porto iraniano di Chabahar, finanziato dall’India ma usato dalla Repubblica Popolare come hub alternativo di approdo, anche considerando la menzionata precaria situazione sul territorio pachistano sul fronte della sicurezza.
La Cina guarda quindi con grande apprensione ai possibili sviluppi della situazione tra Iran e Pakistan che, va detto, al momento è improbabile degeneri. Tra l’altro i motivi di preoccupazione per Xi Jinping non mancano, a prescindere da questa fiammata di instabilità: in Pakistan, infatti, dovrebbero tenersi l’8 febbraio elezioni politiche dall’esito quanto mai incerto. Parlando di una tornata elettorale già rinviata una volta, il condizionale è d’obbligo perché al momento non è ancora nemmeno chiaro quali saranno i candidati. Di recente è tornato in patria l’ex primo ministro Nawaz Sharif dopo una fuga di quattro anni a Londra per sfuggire alle accuse di corruzione. L’altro leader nazionale di spicco, Imran Khan, alla guida del governo pachistano dal 2017 e 2022, è a sua volta in carcere per problemi simili. È di pochi giorni fa, oltretutto, la decisione della Commissione Elettorale pachistana di non consentire al partito di Khan di utilizzare il proprio storico simbolo: una mazza da cricket, a ricordare la gloriosa carriera dell’ex primo ministro nello sport nazionale. Un duro colpo alle speranze elettorali, in un Paese dove il 50% della popolazione è praticamente analfabeta e vota sulla base dei simboli che riconosce sulle schede di voto.
Se a questo si aggiunge che nelle ultime settimane il Pakistan ha iniziato a espellere centinaia di migliaia di rifugiati afghani presenti sul proprio territorio, causando ulteriori frizioni con i Talebani al potere in Afghanistan, si capisce quanto i missili iraniani abbiano colpito quella che potenzialmente è una vera e propria polveriera. Come detto, anche se è possibile che Islamabad compia almeno una ritorsione di entità limitata, all’orizzonte non si vede per ora una crisi regionale di vasta portata: le parti in causa però sono molte e non sempre caratterizzate da equilibrio e capacità di agire più per il lungo periodo che non per obiettivi di breve respiro. Esattamente il contrario di quanto predica, e mette in pratica, la Cina.