Sette mesi di silenzio, nessun tipo di pentimento espresso finora né richiesta di scuse. Poi l’arrivo in aula, l’aria dimessa, le lacrime e quattro minuti di dichiarazioni davanti ai giudici. Alessandro Impagnatiello, imputato per l’omicidio di Giulia Tramontano, la donna incinta assassinata con 37 coltellate a Senago, nel Milanese, lo scorso maggio, parla alla prima udienza del processo. “Sto chiedendo unicamente a tante persone scusa ma non sarà mai abbastanza”, ha esordito per poi sostenere di essere “preso da qualcosa che risulterà sempre inspiegabile e da disumanità”.

Mentre i famigliari della vittima si allontanavano dall’aula del Tribunale di Milano dove è iniziato il processo in seguito al giudizio immediato chiesto dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo, il barman reo-confesso ha continuato: “Ero sconvolto e perso. Quel giorno ho distrutto il bambino che ero pronto ad accogliere. Quel giorno anche io me ne sono andato, sono qui a parlare ma non vivo più. Non chiedo che queste scuse vengano accettate, perché sto sentendo ogni giorno cosa vuol dire perdere un figlio e molto di più, non posso chiedere perdono”.

Impagnatiello ha quindi proseguito: “Chiedo solo che possano essere ascoltate queste scuse e questa è l’occasione per farlo”. Con la voce rotta e balbettando, soprattutto all’inizio delle brevi dichiarazioni spontanee rese in aula, l’imputato – che rischia l’ergastolo con 4 aggravanti contestate dalla procura – ha sostenuto di essere “completamente a nudo”, ribadendo le sue “più eterne scuse” per l’omicidio della fidanzata, incinta al settimo mese. “L’unica cosa che io faccio alla sera – ha detto – è sperare di non risvegliarmi più al mattino. Finché sarò qui farò sempre le scuse a tutte queste persone”.

Il giorno dell’omicidio, ha detto ancora, “ho distrutto la vita di Giulia e di nostro figlio”. Le sue dichiarazioni sono durate poco più di 4 minuti, mentre Chiara Tramontano – la sorella della vittima è uscita dall’aula seguita dal padre – il 31enne ha asserito che dal giorno del delitto “anch’io sono andato, anch’io non vivo più”. L’avvocato Giovanni Cacciapuoti, che assiste la famiglia Tramontano, ha ricordato che le sue dichiarazioni “arrivano in un momento processuale in cui non può essere soggetto a domande quindi ha pieno diritto e libertà di dire quello che ritiene più opportuno”. Ma, ha sottolineato, le sue parole “giungono a distanza di sette mesi”. Impagnatiello – ha quindi tenuto a precisare Cacciapuoti – “non si è reso responsabile di un gesto estemporaneo, ma ha propinato per mesi veleno topicida alla compagna e al proprio figlio”.

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