Sono rimasto davvero basito nel leggere quanto detto da Nordio: “Credete che la mafia parli al cellulare per un attentato?” Oppure: “Chi sequestra il cellulare sequestra una vita”. Spero che il ministro Nordio non ritenga vero quanto dichiarato, perché altrimenti ho la sensazione che parli senza conoscere la materia, oppure che non ricordi i fatti che insanguinarono l’Italia con le stragi del 92/93. Egregio ministro Nordio, mi spiace dirle che non è affatto vero che la mafia non “parli al cellulare per un attentato”.
Cosa nostra – ad esempio – usò i cellulari nella strage di Capaci. Dopo la bomba, noi della DIA, installammo le microspie nel famoso appartamento di via Ughetti a Palermo – appartamento usato da Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera e Santino Di Matteo, e nell’occorso udimmo che uno dei tre, utilizzando il cellulare, dava appuntamento ad un interlocutore: “Ci vediamo la unni ficimu l’attentatuni” (‘dove gli facemmo l’attentato’, chiaro riferimento alla strage di Capaci) e, quindi, arrestammo il terzetto, la cui responsabilità in ordine alla strage fu ampiamente dimostrata.
Le cito, inoltre, un riferimento sull’uso del cellulare durante l’esecuzione di quell’attentato. E’ noto che dopo gli arresti, Antonino Gioè, si suicidò nel carcere romano, mentre La Barbera e Di Matteo, si pentirono a noi della DIA. Durante le indagini, lo stesso La Barbera, ci raccontò il ruolo che ebbe nella fase terminale della strage di Capaci. Il suo compito era quello di agganciare il corteo di auto del magistrato Giovanni Falcone e segnalare a Giovanni Brusca i movimenti dall’aeroporto in direzione Palermo. Infatti, il La Barbera, percorrendo una stradina laterale all’autostrada, e avendo appaiato le auto, col telefonino informava Brusca sull’avvicinamento del corteo.
Come vede illustre ministro, ho evidenziato solo due episodi significativi sull’uso dei telefonini da parte dei mafiosi. Signor ministro Nordio, se parliamo di intercettazioni telefoniche e ambientali sul conto di mafiosi, potrei citare episodi a iosa, visto che la mia pregressa attività investigativa fu svolta prevalentemente con l’utilizzo di detti strumenti tecnologici. Ed ora signor ministro, mi consenta una riflessione personale.
In questi giorni sto sentendo di tutto sulle modifiche delle intercettazioni e mi spiace davvero, che queste modifiche hanno come padre putativo proprio lei ministro Nordio, ex magistrato, ossia del “mestiere”. E non posso non riflettere, volgendo lo sguardo al passato, quando un magistrato come lei, il galantuomo siciliano Giovanni Falcone ci delegava ad intercettare telefoni dei mafiosi. Ma vedo che questo Paese riesce a dimenticare i propri figli che, col loro sangue, scrissero la pagina d’oro della lotta a Cosa nostra: altro che iniziare a far politica dalle ceneri di via D’Amelio.
Quando agli inizi degli anni Ottanta, noi della Mobile palermitana, indicavamo alcuni politici collusi con Cosa nostra o “punciuti”, ci prendevano per esaltati, salvo poi raccoglierli cadaveri nelle vie o ville di Palermo, crivellati da colpi da arma da fuoco. Per favore non commetta gli errori del passato, quando la mafia era considerata una sparuta organizzazione di scassapagghiari (‘scansafatiche’) e invero, poi fu conosciuta attraverso il fiume di sangue versato: oggi la mafia non ha più la coppola e lupara, ma veste in doppiopetto e gioca in borsa e quindi ministro Nordio lasci stare le intercettazioni. Dobbiamo, per dovere verso i nostri martiri della violenza mafiosa, tagliare il cordone ombelicale tra mafia e politica e le intercettazioni dei cellulari sono necessari e indispensabili per scoprire i collusi. Il che è tutto dire.