. E’ una di quelle vicende che si fa fatica a raccontare, che sta straziando tutto il Regno Unito, che impone risposte ma si fatica a trovarle
Bronson è morto e ora tutto il Regno Unito piange la tragedia che ha spezzato la vita di un bambino di due anni. E’ una di quelle vicende che si fa fatica a raccontare, che sta straziando un Paese, che impone risposte ma si fatica a trovarle. Bronson è morto di fame e di sete accanto al cadavere del padre. Il genitore è stato stroncato da un infarto e il piccolo, abbandonato a se stesso, non ce l’ha fatta. Troppi i giorni senza cibo.
Nessuno si è accorto di nulla. Nessuno ha notato o sentito qualcosa di anomalo. In quella modesta abitazione di Skegness, cittadina marittima dell’Inghilterra settentrionale dove vivevano, il piccolo Bronson si è raggomitolato di fianco al padre. Nella solitudine. Ma quella famiglia, composta da padre e figlio e considerata vulnerabile per i problemi che aveva affrontato e stava affrontando, era seguita dai servizi sociali.
Perché nessuno ha fatto nulla? Ecco la domanda che sta sollevando l’indignazione collettiva: padre e figlio erano in difficoltà, lo era tutta la loro famiglia, i servizi sociali erano in preallerta ma nessuno è riuscito a intervenire in maniera tempestiva. Sono scoppiati a piangere, i soccorritori, il 9 gennaio, quando hanno capito quel che era accaduto. Troppo tardi ormai, per il piccolo Bronson. Qualche lacrima ha rigato anche il volto di Chris Philp, sottosegretario agli Interni. Ora dice, spiegando che il governo pretende spiegazioni: “Ci si spezza il cuore a pensare a quanto è avvenuto, bisogna capire esattamente cosa è successo e dove sono stati commessi errori”. Alla Camera dei Comuni è stato pronunciato un messaggio di condoglianze rivolto alla famiglia Battersby.
Così adesso l’inchiesta parte dalla ricostruzione di una catena di errori e di trascuratezze. Gli occhi azzurri di questo bimbetto guardano gli inglesi dalla prima pagina di tutti i tabloid e i cittadini vogliono un’inchiesta rapida e la punizione dei colpevoli, anche se non potranno mai restituire Bronson alla vita di bambino che avrebbe meritato.
Allora si parte dal ritratto di una famiglia. Il padre Kenneth Battersby aveva già sessant’anni, era disoccupato e soffriva di problemi cardiaci che avevano causato una grave itterizia nei mesi precedenti la morte. Nonostante le sue condizioni di salute fossero precarie aveva ottenuto l’affidamento del piccolo dopo la separazione dalla madre.
C’era un’indicazione precisa: i servizi sociali avrebbe dovuto fargli visita almeno una volta al mese, per capire se stesse andando tutto bene. Invece si sono arresi di fronte a una porta sbarrata. E’ successo per due volte. La prima visita il 2 gennaio ma nessuno ha aperto. La seconda volta due giorni dopo, il 4, ma anche stavolta lo scampanellio è rimasto senza risposta. Questa volta c’era pure la polizia, ma nessuno ha ritenuto di intervenire.
Arriviamo così al 9 gennaio. L’assistente sociale riesce a entrare dopo aver contattato il proprietario dell’appartamento ed essere riuscita a ottenere una copia delle chiavi. La scena è devastante. Il padre è morto e così il piccolo Bronson. E’ in pigiama, raggomitolato contro le ginocchia del padre, al buio. In casa c’è il cane di famiglia Skylar che abbaia per la fame. Possibile, si chiedono tutti, che nemmeno i guaiti dell’animale abbiamo destato qualche sospetto nei giorni precedenti? La prima ricognizione autoptica rivela che il padre di Bronson è morto intorno al 29 dicembre. Allora, si arroventano ancora di più le polemiche e la rabbia collettiva, il piccolo si sarebbe potuto salvare se il 2 gennaio qualcuno avesse preteso di entrare comunque in casa. La madre del bambino si chiama Sarah Piesse, ha 43 anni e altri due figli. Ha raccontato di aver visto il figlio l’ultima volta prima di Natale. Ha spiegato al Sun di essere divorata dal rimorso per non essere stata col figlio, ma voleva dare spazio all’ex partner: “Mi fidavo di lui e sapevo che non gli avrebbe mai fatto del male”. Tutte le testimonianze sono concordi. Kenneth era un buon padre, attento e premuroso. Fra i genitori c’era un buon rapporto: “Vivo un incubo – prosegue la madre – da cui non mi sveglierò mai”.
Ora è sotto shock: “Non riesco nemmeno a immaginarlo mentre cerca disperatamente qualcosa da mangiare”. Il bimbo è stato trovato a pochi centimetri dal frigorifero. “I suoi ultimi momenti li ha trascorsi da solo e doveva essere molto assetato e affamato. Avrà pianto. Sarà stato così confuso”, rivela ancora la madre. Bronson era solo cinque centimetri troppo basso per raggiungere un frigorifero pieno di avanzi della cena di Natale con il papà che lo avrebbero salvato. Inoltre non riusciva a raggiungere il rubinetto a causa della sua altezza, né i suoi snack perché erano stati spostati in un armadio più alto per impedirgli di servirsene a piacimento. Ora la donna punta il dito: “Se i servizi sociali e la polizia avessero fatto il loro lavoro mio figlio sarebbe ancora vivo”. Non riesce ad allontanare il pensiero che avrebbe potuto salvarsi: “Se riesco ad addormentarmi è solo per poche ore. Mi sveglio di soprassalto pensando a lui che vaga da solo, morendo di fame. Alla fine deve essere stato così debole che ha deciso di arrendersi e di aggrapparsi a suo padre, abbracciandogli le gambe”.