“La Chiesa ha permesso per anni gli abusi dei preti”: da quando 22 anni fa il Boston Globe fece cadere con un’inchiesta sbattuta in prima pagina il velo di moralismo che ha coperto la comunità cattolica, lo scandalo è stato inarrestabile. C’è chi ancora lo chiama “vizietto”, come se fosse un banale capriccio che non intacca la morale di un uomo comunque illustre ma la pedofilia è un mare incurabile diffuso tra i chierici e dopo secoli il muro di omertà sta cadendo, travolgendo la Chiesa Cattolica. Nel 2022, alla vigilia della Giornata di preghiera della Chiesa Italiana per le vittime degli abusi, la Cei pubblicò il primo rapporto sulla pedofilia nel clero italiano che riguardava 89 vittime e 69 abusi. Ben conoscendo le difficoltà nel denunciare e uscire allo scoperto per chi subisce queste traumatiche violenze, possiamo immaginare siano molti di più. A mostrare le prime crepe fu “Il caso Spotlight”, l’inchiesta del 2002 del sopracitato tabloid diventata poi un film pluripremiato. La conferenza episcopale statunitense adottò la linea della fermezza, ma in Italia? L’allora Papa Giovanni Paolo II con la sua Curia poteva limitarsi a sostenere che la pedofilia fosse un cancro dei preti oltreoceano, che in Italia le cose andavano diversamente, lasciando la bomba pronta ad esplodere nelle mani di Papa Ratzinger che sin dagli inizi del suo mandato dovette affrontare il caso irlandese, nel 2005.
Ma era davvero così? Uno degli eventi che ha segnato il papato di Wojtyla, la scomparsa di Emanuela Orlandi, si è spesso intrecciato alle accuse di pedofilia alla Chiesa o almeno è quanto emerge dall’incrocio di fonti. Il primo a parlarne fu Padre Amorth: il prete esorcista ha sempre detto che la quindicenne vaticana rapita il 22 giugno del 1983 non fu vittima del terrorismo ma che morì durante un “festino” di porporati pedofili, una sorta di orgia avvenuta nelle stanze vaticane, delineando un inquietante scenario. Lo scorso anno, in un audio raccolto dal giornalista Alessandro Ambrosini, un ex sodale di Enrico De Pedis (boss testaccino), tale Marcello Neroni, rivolse accuse durissime di pedofilia a Papa Wojtyla, parlando della scomparsa di Emanuela Orlandi. E fu proprio un gendarme vaticano a riferire a Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che nei giorni della scomparsa mostrarono una foto della ragazzina a quegli ecclesiastici che sapevano di avere questo vizio.
La scorsa domenica, Pietro Orlandi, durante il sit-in con cui ogni anno ricorda sua sorella Emanuela nel giorno del compleanno della quindicenne vaticana scomparsa il 22 giugno del 1983, ha raccontato un aneddoto che gli è stato riportato e che sarebbe avvenuto durante il pontificato del Papa polacco. Secondo quanto riferito a Orlandi da una fonte interna al Vaticano, un alto prelato molto vicino a Wojtyla, “si faceva portare da due o tre massoni che aveva sempre attorno tre o quattro ragazzine sui 12-13 anni, consenzienti…Si faceva dare le mutandine e faceva da solo, poi gli dava qualche soldino e loro contente se ne andavano. Non le toccava, erano ragazzine che andava a prendere in certi ambienti, zingarelle. E queste – ha concluso Pietro – me le diceva come un fatto divertente, mentre le cose importanti, quelle gravi, non me le ha dette, peccato”.
La fonte in questione era un monsignore, e già che considerasse “divertente” un aneddoto del genere, solo perché coinvolgeva bambine di etnia rom, la dice lunga sul come venisse percepito questo orrore appena 40 anni fa in quegli ambienti. Del resto, il chierico era anche stato arrestato per legami con la Sacra Corona Unita e per traffico di opere d’arte, ma pur sempre un religioso, insomma. Chi era invece il protagonista della vicenda? Secondo quanto mormorato dagli attivisti presenti in piazza domenica scorsa, era Agostino Casaroli “perché secondo le parole del monsignore il riferimento a lui era chiaro”. Agostino Casaroli è stato lo stratega di Papa Giovanni Paolo II, negli anni della caduta dei Paesi del blocco comunista. Insieme, avrebbero portato avanti la Ostpolitik Vaticana, nella speranza di liberare la Polonia e di migliorare le condizioni dei cristiani nei Paesi comunisti. Ed era proprio nella sua Polonia il Papa quella sera, quando fu tempestivamente avvertito della scomparsa di Emanuela Orlandi da Casaroli.
Una 15enne non rientra in tempo per la cena e la Segreteria di Stato avvisa il Papa in Polonia? Sì, se la quindicenne in questione non è una qualunque ma può diventare l’oggetto di un ricatto molto grande, ai vertici dello Stato di cui è cittadina. Il 19 luglio del 1983 i presunti rapitori contattarono il centralino del Vaticano, chiedendo del Cardinale Casaroli e facendo riferimento a un codice, 158, che era il numero di una linea privata messa in piedi per trattare con l’allora segretario di Stato che trattò con il misterioso telefonista ribattezzato l’Amerikano per via del suo accento. Di questa trattativa privata ha parlato anche monsignor Carlo Viganò, oggi 83enne, in un’intervista rilasciata all’ex vaticanista Rai Aldo Maria Valli. “L’Amerikano – ha dichiarato l’ex nunzio negli Usa – si limitava a chiedere di voler parlare solo con il Cardinale Casaroli e quello fu il motivo per cui fu creata una linea privata”.
A tirarlo in ballo è stato anche l’ex boss della Banda della Magliana Maurizio Abbatino che l’ha indicato, in un’intervista a Repubblica, come il tramite tra il Vaticano e l’organizzazione criminale guidata da Enrico de Pedis. Che il suo sia stato un ruolo cruciale è innegabile. Non possiamo dire invece lo stesso sull’aneddoto in questione. Del resto lo stesso Pietro Orlandi ha replicato dicendo che nessuna accusa è stata rivolta a Casaroli. “Sono sceso in piazza per Emanuela, non per fare questa accusa o per creare problemi. Le mie parole sono state travisate e modificate per creare titoli ad effetto”. Se questo aneddoto sia vero meno non è dato stabilirlo ma ciò che è certo è che la pedofilia è un male profondo che ha corroso la Chiesa e che potrebbe essere entrato anche nel destino di Emanuela. Verificare la veridicità delle notizie riportate a Pietro Orlandi in questi 40 anni è il compito delle due procure che indagano su Emanuela Orlandi, quella italiana e l’altra vaticana, che però ancora, a distanza ormai di un anno, non hanno convocato i 28 personaggi che Pietro Orlandi ha indicato come a possibile conoscenza dei fatti. Un compito esteso da pochi mesi anche alla commissione parlamentare di inchiesta che indagherà sui fatti di 40 anni fa.