Un Consiglio di amministrazione senza presidente e consigliera nominata dal Comune di Roma ha nominato Luca De Fusco nuovo direttore generale del Teatro di Roma, commissariato nel novembre 2021. La scelta ha fatto insorgere il Campidoglio, che contesta la mossa dei consiglieri di amministrazione nominati due mesi fa dal ministero della Cultura e dalla Regione Lazio, entrambi guidati dalla destra. Per il sindaco Roberto Gualtieri si tratta di un “inquietante segnale”, mentre l’assessore comunale alla Cultura, Miguel Gotor, definisce senza mezzi termini la riunione come “un incontro abusivo”.

Il Cda della Fondazione – che amministra l’Argentina, il Torlonia, l’India e a breve anche il Valle – si è riunito sabato mattina, senza che ci fossero il presidente Francesco Siciliano e la consigliera del Campidoglio Natalia di Iorio. E ha scelto dopo una manifestazione di interesse – nella terna finale c’era anche Onofrio Cutaia, l’uomo chiamato a risanare i conti del Maggio fiorentino – come nuovo dg De Fusco, regista teatrale già alla guida del Teatro Stabile del Veneto e del Teatro Stabile di Napoli prima di approdare alla direzione del Teatro Stabile di Catania. Per Gotor il modus operandi dei consiglieri nominati dal ministero e dalla Regione è un “fatto molto grave”.

Dalla destra, accusa invece Gualtieri, “arriva un inquietante segnale” che “deve suonare da allarme per tutti quelli che hanno a cuore il pluralismo e il senso delle istituzioni”. La Fondazione Teatro di Roma – dice ancora il primo cittadino dem – è “un patrimonio della città, sostenuta finanziariamente quasi totalmente dal Campidoglio, e noi non possiamo in alcun modo accettare che le scelte più importanti, a partire dalla nomina del suo direttore, vengano assunte con la forza, imponendo nomi e strategie dai soli consiglieri nominati dal governo e dalla Regione Lazio”.

L’incontro – sottolinea Gotor – “è, nei fatti, abusivo perché non rispetta le prerogative del presidente Siciliano che ieri sera (venerdì, ndr) aveva disposto di aggiornare la riunione del Cda già da lui convocato, come previsto dallo statuto”. È “evidente”, dice ancora l’assessore alla Cultura, che è “in corso un tentativo di occupazione da parte della destra di una fondamentale realtà del sistema culturale romano e italiano che denunciamo” e “a cui ci opporremo con tutte le nostre forze”. L’auspicio di Gotor è che “prevalgano la ragionevolezza e il buon senso” con un sostanziale passo indietro perché “la libertà e l’autonomia della cultura sono valori non negoziabili”.

Il sindaco di Roma aggiunge poi che “ragionare in termini di prepotente occupazione è totalmente contrario al nostro spirito di collaborazione istituzionale con cui invece sarebbe stato necessario procedere. Roma è capitale anche della Cultura, una città aperta che parla a tutto il Paese e noi ci opporremo in ogni modo e con ogni strumento contro questa volontà di prevaricare che rischia solo di produrre macerie. Il prestigio storico dei teatri di Roma non può essere considerato alla stregua del bottino di una parte politica”.

La forzatura dei consiglieri d’amministrazione nominati da istituzioni guidate dalla destra ha provocato la reazione del presidente Siciliano, secondo cui la scelta che “taglia fuori la città sarebbe una rottura del patto territoriale che è alla base di questo teatro”. La nomina di De Fusco, ha sottolineato, “mi appare come una scelta preconfezionata che toglie ogni spazio alla discussione e insieme la scelta più sbagliata per il Teatro”. Siciliano ha ricostruito la vicenda, sostenendo che la riunione fosse stata “formalmente sconvocata” ed è quindi “invalida”.

Il presidente ha ricostruito anche il ruolo dei diversi soci: “Il Comune contribuisce con 6 milioni e mezzo alla dotazione della Fondazione mentre la Regione ha una quota – immutata negli ultimi 10 anni – di 1,1 milioni euro. Per questo – anche al di là della rappresentanza paritaria nel Cda e la presenza di un rappresentante del ministero della Cultura – credo che il ruolo del Comune vada rispettato e in questo caso non è stato così. Faccio l’esempio di Milano alla Scala – dove pure la contribuzione ministeriale è maggiore di quella comunale – è il sindaco a decidere chi amministra le istituzioni culturali della città”.

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