La Cop28, tenutasi quest’anno, è la 28esima edizione dell’appuntamento annuale che riunisce, dal 1995, i Paesi firmatari della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici. La grossa novità della Cop28 è che anche la politica riconosce che bisogna abbandonare le fonti fossili, imprimendo un’accelerata al processo in questo decennio critico. Tale riconoscimento sarebbe storico se non fosse meno del minimo indispensabile: nel 2023, infatti, la politica si è allineata a quello che la comunità scientifica dice dalla seconda metà degli anni ’90!
E’ stato approvato il Global StockTake, l’accordo che istituisce la verifica formale ogni 5 anni degli impegni degli Stati firmatari dell’accordo di Parigi del 2015 e che invita a una revisione al rialzo degli obiettivi in caso di disallineamento e introduce una serie di obiettivi per il futuro, invitando tutti i Paesi ad abbandonare i combustibili fossili, riducendo a zero le emissioni nette di gas serra entro il 2050 e investendo sul rinnovabile. Sembrerebbe una buona notizia, se non fosse che il linguaggio è ingiustificabilmente cauto, e il testo non vincola i Paesi a eliminare i combustibili fossili e contiene “una lunga serie di scappatoie”. In realtà anche che il “net-zero” costituisce talvolta uno specchietto per allodole che permette alle compagnie maggiormente inquinatrici di continuare a fare “business as usual” dietro alla promessa di tecnologie di mitigazione e riassorbimento delle emissioni il cui sviluppo è ancora ai primordi.
Da un punto di vista tecnico, 117 Paesi hanno concordato di triplicare la capacità di produzione di energia rinnovabile (oltre gli 11000 GW, 5,7 volte il consumo annuo dell’Unione Europea) e raddoppiare il tasso di interventi di efficientamento energetico entro il 2030. Per raggiungere questi obiettivi, sono stati mobilitati investimenti dai vari Paesi in causa, per un totale previsto di 85 miliardi di dollari. Di questi circa 700 milioni di dollari sono destinati al fondo per Perdite e Danni, ma si stima che i Paesi più vulnerabili potrebbero subire un totale di 580 miliardi di dollari di danni a causa del cambiamento climatico entro il 2030; parliamo di circa 730 volte la capacità prevista dal fondo!!
Panorama geofisico e impegni politici
Le emissioni totali di gas serra, in base agli impegni presi entro il 4 aprile 2016, potevano limitare le emissioni annuali a 54,7 ÷ 62,5 Gt CO2 eq, dove 1 Gt CO2 eq è la quantità di un gas serra generico che produce effetti pari a quelli di 1 Gt (miliardo di tonnellate) di CO2. Gli impegni aggiornati al 23 settembre 2023 porterebbero la stima a 53.4 (51.8÷55.0) Gt CO2 eq nel 2025 e 52.4 (49.1÷55.7) Gt CO2 eq nel 2030.
Credit: UN Climate Change – Projected range and progression of emission levels according to nationally determined contributions
Previsioni comunque ottimistiche perché, come da ultimo report dell’Ipcc, secondo la letteratura scientifica fino al 2023, nel complesso c’è una discrepanza fra impegni dichiarati (Ndc, Nationally Determined Contributions) dai Paesi firmatari e le misure effettivamente adottate.
Le emissioni previste per il 2030 secondo le Ndc aggiornate all’ottobre 2021 rendono probabile entro questo secolo l’aumento della temperatura media della superficie terrestre di almeno 1,5ºC rispetto al 1850 (epoca preindustriale), e vi è un certo grado di confidenza nel dire che per restare entro i 2ºC con il 67% di probabilità dovremo imprimere un’accelerazione senza precedenti alla messa in atto di misure di riduzione delle emissioni fra il 2030 e il 2050. In termini più semplici, il World Economic Forum riconosce che, già impegnativo un decennio fa, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale del 1,5ºC è ora praticamente irraggiungibile e richiederebbe una riduzione annuale delle emissioni del 7%, maggiore della pandemia di Covid-19 fino al 2030. Eppure ci si aspetta ancora che le emissioni per quest’anno aumentino!
È necessario che i Paesi:
– formulino delle Ndc complete di numeri e previsioni quantitative, nonché di strategie e piani chiari finalizzati a tale scopo, ma che siano anche in linea con gli obiettivi chiaramente indicati dalle relazioni della comunità scientifica;
– rispettino gli impegni presi con la formulazione delle Ndc;
– ricalcolino, inevitabilmente al rialzo, gli obiettivi quando questi non vengono raggiunti.
Su tutti questi fronti ci sono ancora amplissimi margini di miglioramento.
Le tendenze dei prossimi anni
Familiarizziamo con il concetto di tipping point. Fino a un certo punto, piccoli cambiamenti di alcune condizioni producono piccoli effetti su altri parametri del sistema, e se il sistema Terra è stabile, le conseguenze possono essere minime e si può perfino agevolmente tornare alle condizioni iniziali. Quando però questi cambiamenti sono sufficientemente grandi, oltre una certa soglia, possono portare qualche componente del sistema Terra a comportarsi in modo inedito, potenzialmente innescando un circolo vizioso con conseguenze irreversibili di larga scala, che può proseguire anche per secoli o millenni. Queste soglie sono i cosiddetti “tipping points”.
Su questo tema, la valutazione più esaustiva mai condotta è il Global Tipping Points Report, presentato a Cop28. In esso sono identificati almeno 26 tipping points, di cui 6 nella criosfera (la parte della superficie terrestre occupata da ghiacci), 16 nella biosfera e 4 nella circolazione delle correnti negli oceani e in atmosfera. Il Report avverte che, secondo le attuali tendenze, almeno 5 tipping points saranno innescati a causa degli attuali livelli di riscaldamento globale, e altri tre nel prossimo decennio, con conseguenze anche sulla capacità di approvvigionamento e produzione del cibo.
Nella stessa relazione si sottolinea l’importanza di valutare l’esistenza di tipping point sociali, riconoscendo che una crescente instabilità sociale potrebbe minare la capacità della civiltà umana di intervenire per la propria sopravvivenza e che tale effetto potrebbe essere aggravato da un collasso dei sistemi democratici e l’emersione di sistemi autoritari.
La pagella fino a questo punto
Per quanto dal punto di vista del riconoscimento del problema alla Cop28 si sia fatto un grosso passo in avanti, la politica deve ancora dimostrare di riuscire a guidare la società civile attraverso un cambiamento epocale che, ahinoi, la crisi climatica e ecologica ci porterà ad affrontare comunque!
Il 2023 è appena stato presentato come l’anno più caldo di sempre: è un fallimento implicito della politica che continua a tutelare interessi economico-lobbistici anziché della popolazione. Occorre una drastica riduzione del consumo energetico accompagnata da efficientamento energetico, parallelamente all’abbandono delle fonti fossili: sfide che non possono essere ricondotte alle piccole o grandi scelte individuali, ma che possono essere affrontate solo con un cambiamento sistemico globale. La pagella dell’anno scolastico 2023 è ancora largamente e pericolosamente insufficiente.