“Finisce male, te lo giuro”, le aveva scritto in uno dei messaggi. L’ultimo, prima che un’operaia trovasse il coraggio di segnalare gli abusi subiti da parte del proprio superiore all’azienda, che ha quindi deciso di licenziare il manager per “giusta causa”. L’uomo, infatti, pare perseguitasse la lavoratrice da mesi, inviandole messaggi a sfondo sessuale e arrivando a pedinarla e ricattarla pur di ottenere le sue attenzioni. La ragazza, probabilmente intimorita a causa del suo differente potere all’interno dell’azienda, aveva inizialmente deciso di ignorare l’uomo, ma poi, esasperata, ha rivelato tutto all’azienda in cui lavoravano entrambi. Che ha deciso subito di licenziare il “quality manager“.
La storia, riportata dal quotidiano La Nazione, risale al 2022, ma solo di recente il tribunale del lavoro ha ribadito la regolarità dell’operato dell’azienda, assistita dagli avvocati Daniela Cantisani e Massimo Aragiusto, e condannato il manager alle spese. Secondo l’ex dipendente, infatti, il suo licenziamento era stato un “atto ritorsivo” da parte dell’azienda, mirato a “eliminare una risorsa ormai costosa e non più gradita”, e aveva quindi fatto ricorso. Ma per il giudice, Tommaso Maria Gualano, la “gravità della condotta – cioè quei comportamenti non graditi dalla destinataria dimostrati dalle chat WhatsApp – è tale da giustificare l’immediata interruzione del vincolo fiduciario a base del rapporto di lavoro”.
Le molestie sul luogo di lavoro sono punite secondo il decreto legge dell’11/04/2006 n. 198. In particolare, ai sensi dell’art. 26, sono considerate discriminatorie e definite “molestie”, “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”, nonché “molestie sessuali” ”quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. La vittima della molestia sessuale, così come la vittima del mobbing, ha diritto al risarcimento di tutti i danni subiti.