Quando parliamo della morte ci accade una cosa meravigliosa: ci tocchiamo. La scaramanzia è erotica. Ho un amico molto erotico, si chiama Alberto Simoncini, vive a Barcellona e il suo lavoro è accompagnare le persone all’ultimo saluto, alla morte. Non puoi fare questo mestiere senza amore, altrimenti rischi di impazzire, l’amore non rende folli, non è vero, è uno stereotipo, l’amore ci fa commettere atti di intelligenza e di compassione, ed è quello che fa il mio amico Alberto.
Tra me e la morte non c’è un buon rapporto, la vedo come una grande seccatura, è veramente seccante che ci sia questo fenomeno genetico in grado di interromperci l’aperitivo e le gite al mare. Morire è la cosa più innaturale che possa capitarci, se amiamo vivere tra un Martini cocktail e l’altro e diciamola tutta: morire prima di un pre-dinner è veramente paradossale, morire dopo invece è innaturale perché abbiamo sempre sete di futuro. Non ho mai amato tutte quelle filosofie che ti fanno accettare la morte con serenità, io voglio morire incazzato. Proprio perché amo la vita.
Detto questo, se mai mi capiterà di morire per una malattia, cercherò il mio amico Alberto, il suo volto, la sua energia pulita, e me ne farò una ragione, per non impazzire. Quando vado in bagno mi chiudo sempre a doppia mandata, non capisco quelle persone che fanno i bisogni con la porta aperta, l’intimità deve restare tale quando si va di corpo, ma è anche vero che un amico si vede nel momento del bisogno. Morire è come andare di corpo, andare via per sempre. La vita finisce con un flop, un insuccesso. Alberto ci aiuta a comprendere questo maledetto flop senza speranza. Dobbiamo lasciare gli occhi dell’amore che ci fanno flap flap, per un flop flop, questa è la morte.
Non è facile accettare l’annientamento della propria coscienza, questo esile ricamo di pensieri ed emozioni che ci portiamo dentro dalla nascita. Sparire per sempre? Ma che diavoleria ontologica è mai questa? Un giorno ci sei e il giorno dopo non ci sei più? Ma siamo matti? Abbandonarsi alla corrente, questo è il segreto secondo Alberto, non opporsi al pugno ma assecondarlo con il volto, così fa meno male, non si può lottare contro qualcosa che è più forte di noi. Noi siamo Charlot e la morte è Mike Tyson. Non c’è speranza di vincere.
Non ci resta che danzare come Charlot e prendere in giro Mike Tyson. Non ci resta che la poesia e l’amore. Possiamo sempre dire “Sono fottuto? Me ne fotto!”, oppure possiamo usare la grazia dell’understatement e sussurrare: “Non ho paura di morire, mi dispiace morire, è una cosa diversa”. Un giorno ci sei, il giorno dopo non ci sei più. Una frase che sentiamo spesso, ma siamo sicuri di esserci veramente quando ci siamo? E siamo sicuri di non esserci più, quando ce ne andiamo? I morti persistono nella nostra memoria, sono organismi fantasmatici ma vitali. Non credo all’assenza dei morti. “La morte di un amico significa stare per sempre con lui, senza interruzioni” così un giorno mi ha detto un mio amico poeta.
Alberto è un artista, i suoi quadri rivelano sempre mutilazioni, sprigionano orrore e rabbia, ma c’è sempre una forte presenza dell’elemento ironico. Senza amore non si vive, ma nemmeno senza ironia. Una risata ci disseppellirà. Attraverso la sua simpatia ed empatia naturale, attraverso la sua ironia, Alberto riesce anche a giocare con le persone che stanno morendo. Possiamo giocare fino alla fine, questo ci rende umani e ci caretterizza. Questo ci distingue dagli adorati animali. L’uomo è un animale delirante che gioca in punto di morte. La vita in sintesi: dal capezzolo al capezzale.
La vita ci perdona sempre, mettendoci una pietra sopra, una lapide. La corda dell’orizzonte si tende e ci impicca all’infinito, ci facciamo la morte addosso. E rien ne va plus. Eppure, in questo tragico circo della finitudine c’è qualcosa che va oltre, che non si arrende, chiamatela speranza oppure ostinazione, chiamatelo anche coraggio. Per essere felici bisogna avere coraggio. Allora posso anche pensare di morire felice e grato, non più incazzato.
Chi non arriva a queste conclusioni da solo, ha la possibilità di rivolgersi a persone come Alberto, il mio amico che accarezza la morte e così facendo accarezza la vita. Dalla sua esperienza ha tratto due libri: Il coraggio di rompersi e 21 lutti. L’ultimo libro verrà anche rappresentato in teatro a Barcellona, da due attori spagnoli. Immaginate quante storie di vita vissuta fino alla fine, immaginate i dialoghi tra il terapeuta e il moribondo, condensati nelle pagine di un libro. Resta sempre qualcosa di noi. In fondo la morte non esiste, esistono solo diverse manifestazioni dell’Essere.
A essere sincero io resto sempre legato alla manifestazione più banale, quella in cui possiamo entrare in un bar e ordinare il solito! Ma mi rendo conto che persone come Alberto ci suggeriscono che possiamo entrare nello stesso bar e ordinare l’insolito. Vivere è insolito. Il paradosso è che persone come Alberto vengono accusate di insensibilità dai più sprovveduti, con frasi del genere “Ma come fai? Io non riuscirei mai a stare nella stessa stanza con un agonizzante!”. Pensate invece a quanta sensibilità, a quanto amore, a quanta ironia ci vuole per fare quello che fa Alberto. Agonizzare significa lottare e Alberto lotta insieme a noi.
Le persone come lui sono indispensabili al nostro coraggio e alla nostra ultima e immedicabile felicità. Per questo gli ho dedicato un film ritratto che trovate dopo la lettura di questo pezzo, sono 30 minuti di film che nell’arco di una vita potete concedervi il lusso di vedere. E’un argomento che ci riguarda tutti, nessuno escluso. Forse un giorno resusciteremo, io spero di risorgere con il mio cappello e di avere un indirizzo buono dove andare a bere un Martini, in caso contrario, se il paradiso dovesse essere un posto per astemi, chiederò a Dio un permesso speciale per suicidarmi dalla vita eterna. Userò Alberto come intermediario. Di Alberto mi fido, perché è un uomo che ha sofferto molto, solo chi ha sofferto così tanto può giocare con la morte e darle una carezza sul volto.