Cultura

OgniDonnaUnaMadonna, parla l’artista (anonima) del progetto made in Napoli: “Quando creo una Madonna in reggiseno, sto bestemmiando? Non porto Lei a livello terreno, innalzo tutte quante”

Intervista esclusiva all’anonima artista partenopea che ha invaso il centro storico della sua città con una serie di sacre icone dal mood contemporaneo 

di Domenico Marcella

Il suo essere libera sta nel sentirsi autorizzata a non svelare la propria identità, e a realizzare poster raffiguranti una Madonna dal generoso décolleté, un’altra intenta a consumare un trancio di pizza mentre manda a quel paese chi la deride e la discrimina per il suo aspetto, e altre con le riconoscibili fattezze di Sophia Loren, Nina Simone e Frida Kahlo.

Balzata agli onori della cronaca per le sue non convenzionali sacre icone, questa giovane artista napoletana è la mente del progetto artistico OgniDonnaUnaMadonna. Non ha paura dei limiti. Si diverte a oltrepassarli. Perché lei – come si dice a Napoli – ha la cazzimma: quel fattore X che le permette di divertirsi a mandare in tilt i benpensanti. Lo fa attraverso i suoi poster, rilanciati recentemente anche da un documentario postato sulle pagine social de La gente di Napoli – Humans of Naples del fotografo Vincenzo De Simone. Nulla le importa dei luoghi comuni, dei pregiudizi e dei messaggi minatori degli indignati che le augurano di bruciare tra le fiamme dell’inferno perché, ci dice: “Ogni volta che mi fermo a raccontare quello che in vero rappresentano le mie opere, vengo sovrastata da manifestazioni di solidarietà e da confessioni intime di innumerevoli donne a me sconosciute. Questo per me è quello che conta”.

Ci spieghi il progetto OgniDonnaUnaMadonna?
È una campagna artistica di sensibilizzazione nata all’improvviso, nel 2020. Ho sempre avuto in mente queste immagini, ma ho deciso di realizzarle dopo un’esperienza traumatica.

Ti va di parlarne?
Certo. Una sera invitai a casa un amico fidato, avevo appena chiuso una relazione infelice e mi sentivo ancora molto triste. Il ragazzo che doveva essere lì per consolarmi, provò a forzarmi a un rapporto sessuale. Negai il consenso dolcemente, all’inizio; dopo la sua grave insistenza, però, trovai la forza di reagire brutalmente. Il giorno dopo si giustificò: “Ma tu eri vestita in quel modo, avevi quella scollatura”. Cominciai così a dormire male, a soffrire il catcalling per strada che prima rappresentava per me soltanto un lieve fastidio. La verità è che non riuscivo a digerire che il mio abbigliamento valesse più della parola. Avevo bisogno di riaffermare, soprattutto agli occhi di me stessa, che non è l’aspetto a determinare la sacralità di una donna. Nel momento in cui creo una Madonna che sorride e indossa un reggiseno, sto bestemmiando? No. Lei è quella sacra, la più sacra di tutte. La riconosciamo immediatamente anche cambiandole gli abiti e i connotati. L’obiettivo, dunque, non è portare lei a livello terreno, ma innalzare tutte quante.

Sei riuscita così a trasformare un momento di rabbia in uno slancio di assertività.
Sì. Ero molto arrabbiata con me stessa, perché dentro di me sapevo di aver trovato la forza di reagire nel pensiero che – una volta finito quel sesso che non volevo – nel bagno avrei trovato lo spazzolino da denti del mio ex. Non volevo fare sesso con quella persona, ma la forza di combattere la violenza è derivata dal rispetto verso un’altra persona, non verso me stessa. Come se anche io mi fossi voltata le spalle. Tutt’ora mi vergogno a dirlo, ma so che molte donne hanno bisogno di perdonarsi per aver accettato rapporti che non volevano. E adesso, attraverso i miei poster e i messaggi che veicolano, sapranno di non essere sole.

L’anonimato può essere anche uno strumento facile e seducente. È innegabile che il nascondere qualcosa generi in chi osserva un moto di curiosità. L’ignoto esercita da sempre un certo fascino. Spesso restare anonimi serve a estraniarsi dai filtri precostituiti che condizionano. L’anonimato ti permette di essere più libera?
Ci sono tante ragioni. Come puoi immaginare quello che ho appena detto è davvero difficile da ammettere con se stessi, figurati al pubblico. E poi quando il mio progetto ha iniziato ad avere successo, tutti pensavano che fossi un uomo. Rivelandomi – se pur in parte – sono vista per le mie azioni e non per il mio aspetto. Finalmente posso avere visibilità senza sentirmi dire di esserci riuscita perché carina.

Non a caso, la cosa che più spesso gli artisti che scelgono di non svelare la propria identità dicono è: “Voglio che si parli delle opere, non del personaggio”.
Esattamente. Col tempo ho scoperto che il mio anonimato permette alle donne di vedere se stesse nelle mie immagini, e loro davvero non hanno bisogno di leggere le mie interviste per capire il significato. Tengo al mio anonimato ma non è un’operazione di marketing: spesso prendo un caffè con le ragazze che comprano i miei poster. Ci raccontiamo esperienze toccanti e speranze, senza passare per le presentazioni. Ci scambiamo davvero la pelle, come amiche storiche. Per questo motivo OgniDonnaUnaMadonna rappresenta tutte quante.

Il linguaggio estetico della tua produzione punta anche su personaggi riconoscibili. Il risultato finale è una posizione netta come un graffio deciso. Consideri le tue opere a effetto immediato?
Purtroppo non penso che l’effetto sia così immediato. Altri creativi mi invitano a dedicare le mie Madonne alle vittime di violenza; a Giulia Cecchettin, per esempio. La verità è che ogni vittima – due minuti prima di essere tale – è una donna normale, che magari qualcuno chiama stronza o puttana, che indossa scollature, e ti scoppia a ridere in faccia se non è d’accordo con te. Le mie Madonne sono un monito a rispettare anche la sacralità di quella indisponenza, di quell’antipatia, di quell’audacia. Un giorno prima di morire siamo un universo: non dobbiamo essere delle sante per essere considerate sacre. E credo che le vittime di violenza vorrebbero essere ricordate per il loro percorso e non per la loro fine.

Il motivo ricorrente di tutta la tua produzione è indubbiamente il rispetto: principio cardine per ogni società.
Sì, e nel mio piccolo provo ad aiutare le ragazze ad avere prima di tutto rispetto per se stesse. Una cosa che al momento del bisogno è mancata proprio a me.

Anche la tua arte è un aiuto. L’artista che si schiera attraverso un’opera, è una scintilla che dà nuova vita a una causa. L’intervento urbano che prende possesso dell’ambiente circostante è un manifesto che cattura lo sguardo e innesca la riflessione.
I miei poster non erano progettati per andare in strada. Li facevo per sfogare, sdraiata sul letto o mentre fingevo di prendere appunti all’università. Pensai di metterli in strada perché amavo vedere il fastidio che avrebbero provocato. All’inizio non pensavo potessero davvero offendere qualcuno, poi ho capito che quel disgusto raccontava perfettamente la percezione che si ha della donna. Più sei sexy e più ti svaluti. L’amore per se stesse e la sensualità come appropriazione non sono contemplate. Quindi una Madonna sexy è la peggiore bestemmia, per alcuni.

A questo punto è d’obbligo chiederti: oltre ai fondamentalisti delle parrocchie di quartiere, che ti vorrebbero ad alimentare il rogo dell’inferno, chi altro schiuma rabbia e indignazione per te e le tue straordinarie icone sacre?
Credo che OgniDonnaUnaMadonna stia turbando un po’ chiunque non abbia riflettuto sulla femminilità; forse avrebbe turbato anche me da ragazzina, ché sono stata una fervente cattolica. Le mie Madonne esprimono audacia e indipendenza, due caratteristiche che fatichiamo come società ad accostare a una donna e soprattutto a una mamma, e lei, la Vergine Maria, è la più mamma di tutte. Mi auguro che sia proprio il turbamento a spingere gli osservatori a porsi delle domande sulla propria visione della donna, e che avvenga presto la tanto agognata rivoluzione culturale di cui tutte abbiamo bisogno.

OgniDonnaUnaMadonna, parla l’artista (anonima) del progetto made in Napoli: “Quando creo una Madonna in reggiseno, sto bestemmiando? Non porto Lei a livello terreno, innalzo tutte quante”
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