Sono più solida che fluida, parola dell’ermafrodito Eva Robin’s. L’attrice e artista bolognese oggi 65enne racconta la sua quarantennale vita sentimentale al Corriere della Sera. Tra i nomi più riconoscibili tornano alla mente Vittorio Sgarbi e Paolo Villaggio, ma sono decine gli incontri e gli amori misti, rimescolati, sfrontati, nascosti di chi all’anagrafe fa ancora Roberto Coatti. “L’ambiguità non mi appartiene, ho sempre parlato del mio pene in modo disinvolto: ci tengo a ricordare che, sotto l’apparenza femminile, c’è”, ricorda con convinzione e precisione Eva/Roberto.
Il primo amore nel collegio maschile, la transizione avviata un po’ “per errore” (“Non avevo la vocazione di essere donna. Amavo i travestimenti, tutti. Amavo essere qualcun altro. È la storia di tutte noi, di un ciclo di esperienze che può portare da una parte o da un’altra”), gli ormoni rifilati da un infermiere vicino di casa, la voglia di somigliare a Tadzio di Morte a Venezia o a Björn Andrésen. “Mi ritrovai con due seni, due bocciuoli. Mi piacqui. Non ho mai messo le protesi né esagerato con le forme muliebri e non ho mai vissuto il dilemma di cambiare definitivamente sesso”.
A 15 anni Roberto si ritrova ad essere chiamata “signorina”: “Ero attratta più dagli uomini. Delle donne mi piacevano solo i vestiti e il fatto che non pagassero loro al ristorante”. La prima volta? “Io undici anni, lui forse 50 o 40. Era un archeologo. Oggi lo definisco pedofilo, allora, non lo vissi come un trauma”. L’amore più grande? “Tutte le storie con le compagne che ho avuto (…)le mie esperienze più lunghe sono state con donne. In loro, ho sempre trovato più sfaccettature in cui identificarmi, cullarmi, essere trattata come figlio, amante giocoso, amico, mentre gli uomini sono stati più monocordi. Ho avuto ustioni sentimentali più con gli uomini”.