A guardare certi numeri si potrebbe essere ottimisti. Secondo infatti un’indagine svolta da Marketplace, il 41 per cento dei Millennial e il 21 per cento della Generazione Z beve sempre meno la sera. Forse complice l’aumentata offerta di drink analcolici. Almeno secondo chi ha finanziato la ricerca, che fa risalire la scelta di bevande analcoliche alla anxiety economy, che comanda tutte le scelte di mercato che sono state fatte per combattere l’ansia generazionale emersa in particolare durante la pandemia. “Nel periodo della pandemia ci siamo accorti che bevevamo decisamente troppo – ha dichiarato a Forbes il capo della ricerca -, e siamo sempre più convinti (grazie anche alla Gen Z) che l’abuso di alcol infici sulla propria salute mentale”.
Come riportato da Vogue, sui social si diffonde la Recovering Party Girl. Di che si tratta? Su Tik Tok, per esempio, Jules Rangi racconta del suo passato da ragazza che si ubriacava sempre tutti i sabati in discoteca esagerando e pentendosene puntualmente il giorno dopo, e di com’è riuscita a superare il trauma riuscendo a frequentare “luoghi festosi senza alcol in corpo”. Hanno poi milioni di visualizzazioni i video su TikTok raccolti sotto l’hashtag #soberparty, in cui ragazze si riprendono in discoteca mentre ballano sobrie e si divertono comunque. Altre si scambiano consigli su come sopravvivere a una serata a ballare da sobrie, puntando sui mocktail, i cocktail analcolici. Ma come stanno realmente le cose?
Il parere dell’esperto
“Le indagini di mercato fotografano una situazione istantanea che è ovviamente diversa da quella delineata da un sistema di monitoraggio formale che esamina e controlla attraverso diverse variabili le tendenze rilevate dalle indagini su popolazione. La generazione Z ha età molto differenti comprendendo individui di 11-25 anni che presentano rischi e tendenze profondamente diversi che non sono assimilabili in un’unica categoria quando parliamo di alcol”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale Alcol, Istituto Superiore Sanità.
E nelle vostre ricerche, che cosa emerge?
“Rileviamo 1 milione e 370mila 11-25enni a rischio di cui 620mila minorenni; 786mila sono i binge drinkers che bevono per ubriacarsi di cui 83mila minori. Per la generazione Z il Covid ha generato risultati contrastanti, i moderati hanno ridotto ulteriormente in media i consumi mentre chi era già un consumatore a rischio li ha incrementati. Insomma, un conto è l’indagine di mercato e ben altro il monitoraggio epidemiologico”.
Di fatto, è sicuramente cresciuta l’offerta di analcolici, birre specialmente, ma anche cocktail senza alcol. Si può dire che c’è maggiore sensibilità sui rischi dell’alcol anche nelle nuove generazioni?
“Probabilmente qualcosa sta cambiando, ma non si può generalizzare ed è un trend estremamente lento quello che porta a una riduzione dei consumi tra i giovani per i quali tutte le strategie europee e la stessa risoluzione del Parlamento europeo per la lotta al cancro sollecita una strategia “zero alcol”, essendo dimostrato l’impatto massimo dannoso sul cervello fino ai 25 anni. La nuova sensibilità da creare dovrebbe puntare sul valore della sobrietà e sulla svalorizzazione dell’uso di qualunque bevanda alcolica e non a caso l’industria ha prodotto le Nolos (No alcohol, low alcohol beverages) che stanno guadagnando sempre più ampie fette di mercato con birre zero e vini dealcolati. Non sono la soluzione se usate per traghettare i neo consumatori da consumi analcolici a quelli alcolici dello stesso prodotto: le valutazioni di settore sono molto caute a causa di un marketing spesso confondente, legato a queste nuove bevande”.
Quali sono le cause principali che inducono ancora ad avere comportamenti a rischio in merito al consumo di alcolici?
“Il fattore predominante è la cultura del bere indotta dall’industria e dalle pubblicità. L’Oms denuncia in tutto il mondo la mancanza di responsabilità sociale dell’impresa che si riscontra in azioni di lobbying che ostacolano la produzione di politiche di salute pubblica e di prevenzione sull’alcol e che non hanno un adeguato contrappeso nell’esercizio dei ruoli istituzionali di protezione dei più vulnerabili. Politiche blande, depotenziate favoriscono la logica economica ma creano danni economici anch’esse. Per esempio, l’Ocse segnala per l’Italia danni economici così pesanti per il Pil da non essere sostenibili; tanto da rendere indispensabile l’imposizione di 27 euro di tassazione pro-capite per coprire i costi dell’alcol. Non propriamente un’economia sostenibile, come evidenziato dal Comitato economico delle Nazione Unite che chiede la riduzione del 10% dei consumi di alcolici entro il 2025 e dei consumatori dannosi, obiettivo che purtroppo non sarà raggiunto dall’Italia”.