Per motivi fin troppo evidenti e collegati direttamente ad interessi commerciali molto concreti (la roba), la guerra di Israele contro Hamas sulla pelle dei palestinesi e degli ostaggi ha finito per far retrocedere la guerra della Russia contro l’Ucraina, ovvero un conflitto in Europa, in secondo piano o nel dimenticatoio. La stanchezza, la disattenzione, l’indifferenza per un conflitto originato dall’invasione di uno stato sovrano che, nelle aspettative dell’aggressore, doveva risolversi in un paio di settimane sono fisiologiche, ma giovano solo a chi ha aggredito.

Sulla fatica crescente delle opinioni pubbliche, in primis quelle europee, a rendersi conto che la partita ucraina le riguarda direttamente, e sulla difficoltà delle leadership occidentali a mantenere il livello di munizioni che sarebbe necessario per ridurre in modo significativo la pressione russa, fa leva con consumata abilità propagandistica Vladimir Putin.

Da quando ha aperto ufficialmente la campagna elettorale “da indipendente” per le elezioni del 17 marzo 2024 che gli consegneranno il paese per altri 6 anni in un clima repressivo mai visto, lo zar nell’arco di un mese ha alternato, in un vortice pirotecnico, minacce e aperture, disponibilità e accuse, aggressività e “ragionevolezza”. Con un punto fermo ribadito a beneficio del popolo ma anche dei leader occidentali, a margine del voto unanime sulla sua candidatura: “La Russia non può, come altri Paesi, rinunciare alla sua sovranità ed essere il satellite di qualcuno in cambio di qualche salsiccia”.

Dei segnali “dialoganti” e “aperturisti” rilanciati a ridosso di Natale per un cessate il fuoco con relativo congelamento del conflitto allo status quo del fronte non c’è più traccia e certamente non solo e non tanto per la rigidità “degli ucraini imbecilli perché hanno rinunciato ai negoziati con la Russia” e si sono impuntati su “una formula di pace” costituita da “requisiti proibitivi”. In realtà l’unico requisito su cui oggettivamente non ha senso puntare per l’Ucraina è quello che prevede il recupero totale dei confini del 1991, ma forse è il caso anche di ricapitolare su cosa si fonda la pax putiniana che dovrebbe essere ottenuta grazie al disarmo dell’aggredito. Contempla, oltre alla “denazificazione” e “smilitarizzazione”, la formalizzazione dell’annessione delle province contese con il referendum farsa e mantenute sotto il controllo di Mosca con l’intimidazione, la discriminazione e la repressione; la negazione del riconoscimento dei danni di guerra ad un paese colpito miratamente nelle infrastrutture civili; l’impunità per la mole impressionante di crimini di guerra riconosciuti dalla Corte Penale Internazionale e da una Commissione indipendente dell’ Onu.

Che i tempi per l’Ucraina non siano rosei e che per Zelensky non sia particolarmente facile indicare una prospettiva agli occidentali che più o meno convintamente lo sostengono, si è visto concretamente a Davos, dove al di là della standing ovation si è materializzata l’insicurezza per il percorso che attende in questo anno decisivo il popolo ucraino. E l’ombra più minacciosa che incombe è quella di Donald Trump, fisicamente assente dal consesso del World Economic Forum del 2024 ma che potrebbe essere determinante per la vita o la morte dell’Ucraina, e più ancora per il mantenimento o il travolgimento definitivo dei valori fondanti delle già indebolite democrazie occidentali.

In concomitanza con l’intervento di Zelensky a Davos, Putin ha risposto a distanza non solo per gettare la responsabilità del perdurare del conflitto su Kiev, per ribadire che “l’iniziativa è completamente nelle mani delle forze armate russe”, per minacciare che “la sovranità ucraina potrebbe subire un colpo irreparabile”; ma anche per delegittimare la democrazia Usa e sostenere apertamente l’amico Trump. Più precisamente, lo zar si è schierato a favore della sua accusa eversiva sul presunto voto truccato che avrebbe portato alla Casa Bianca “l’abusivo Biden” e che è stato il motore dell’assalto a Capitol Hill. Peraltro Trump ha già vinto la sua corsa alla nomination repubblicana, non solo per il trionfo nell’Iowa ma perché molto difficilmente sarà fermato dalla Corte suprema; e in ogni caso ha già fortemente trumpizzato il partito, come dimostra il ricatto dei repubblicani per lo stanziamento degli aiuti all’Ucraina. Trump ha dichiarato da tempo che la guerra lui la risolverebbe in 24 ore, cioè consegnando il paese a Putin in un cambio adeguatamente conveniente.

Intanto, per una rinnovata convergenza, i due amici/nemici sempre più vicini condividono il ricorso alle minacce che purtroppo suonano molto reali a causa dei loro recenti trascorsi. Trump annuncia che trascinerà il suo paese nel caos qualora fosse ritenuto ineleggibile per i 91 capi d’accusa a suo carico; Putin torna ad attaccare frontalmente, come nel 2022, Finlandia e Lettonia, “una minaccia diretta alla nostra sicurezza”, con parole che ricordano tristemente la vigilia dell’invasione all’Ucraina e che a Berlino e Washington vengono valutate come “pretesti per un possibile attacco contro gli stati baltici”.

Le nostre democrazie sono molto deficitarie, l’Occidente ha fatto errori e ha grandi responsabilità, ciononostante è il caso di tenere presente che in Usa l’alternativa a Biden è Trump e in Europa ai burocrati “guerrafondai” di Bruxelles si contrappone Orban: i migliori amici di Putin.

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