“Sono venuto a conoscenza delle gravissime insinuazioni e delle accuse mosse nei miei confronti solo a seguito della pubblicazione di alcuni articoli di stampa che richiamavano le dichiarazioni rese dell’avvocato Fabio Trizzino dal 27 settembre al 24 ottobre scorsi“. È questo l’incipit scelto da Gioacchino Natoli per cominciare la sua audizione davanti alla commissione Antimafia. Dopo l’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, l’ex magistrato ha ricostruito la storia delle intercettazioni dei fratelli Nino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini, anche davanti ai parlamentari di Palazzo San Macuto.
L’indagine sui Buscemi – Una vicenda che risale al giugno del 1992, quando Natoli chiese e ottenne per i Buscemi l’archiviazione in un’inchiesta per riciclaggio, nata su input della Procura di Massa Carrara, che indagava sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nelle cave di marmo in Toscana. Nei mesi scorsi questa vicenda era stata raccontata, sempre davanti alla commissione presieduta da Chiara Colosimo, da Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale dei figli del giudice ucciso in via D’Amelio. L’avvocato ha collegato l’indagine sui Buscemi a quelle del Ros di Mario Mori su Mafia e appalti, indicandole come il movente segreto della strage di via d’Amelio. E sottolineando che Natoli, oltre all’archiviazione, chiese “inspiegabilmente” pure di smagnetizzare le intercettazioni dei fratelli mafiosi e distruggere i brogliacci. “Chi ha disposto la distruzione avrebbe dovuto giustificarsi di fronte a Borsellino, se Borsellino fosse sopravvissuto”, ha sostenuto l’avvocato. “Queste affermazioni denigratorie, tutte clamorosamente destituite di fondamento, attengono a fatti il cui accertamento ritengo risulti indispensabile per il lavoro di questo commissione”, ha detto invece oggi Natoli, che ha passato gli ultimi mesi a ricostruire ogni dettaglio di quella vecchia indagine.
La relazione dell’ex pm – In pensione dal 2018, giudice istruttore del pool Antimafia di Palermo e poi sostituto procuratore, Natoli ha lavorato per anni al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “Tutte le sentenze rese dall’autorità giudiziaria di Caltanissetta convengono su un punto: purtroppo la strage di via D’Amelio, come quella di Capaci, hanno una molteplicità di concause all’interno delle quali si ascrivono quelle riconducibili al rapporto di mafia e appalti, ma solo come concausa e non come causa esclusiva o causa acceleratrice”, ha spiegato oggi alla fine della sua audizione. Per quasi due ore l’ex magistrato ha smontato punto su punto le affermazioni di Trizzino, mostrando carte e documenti, che ha depositato insieme a una dettagliata relazione: “Fornirò un resoconto ordinato degli accadimenti come risultano dai documenti ufficiali dell’epoca e non da ricostruzioni inesatte, se non oggettivamente false in alcuni passaggi, che sono state proposte in precedenza rispetto alla mia audizione”.
“Falso che quelle bobine vennero distrutte” – Punto primo: non è vero che le intercettazioni dei fratelli Buscemi furono smagnetizzate visto fino a poco tempo fa erano negli archivi della procura di Palermo mentre adesso sono a Caltanissetta. “A seguito di specifica richiesta la Procura ha fatto pervenire una nota per spiegare che i nastri erano conservati negli archivi dell’ufficio ma che non è stato possibile reperire tre dei 4 brogliacci riferiti a quelle intercettazioni”, ha spiegato la presidente Colosimo in apertura dei lavori. Quelle intercettazioni, però, non sono quelle inviate dalla procura di Massa Carrara a Palermo, visto che nel capoluogo siciliano i magistrati toscani non spedirono alcuna bobina. “L’avvocato Trizzino ha riferito a questa commissione che in data 25 giugno 1992 avrei disposto la smagnetizzazione delle bobine relative alle intercettazioni telefoniche disposte dalla procura di Massa Carrara, tanto che lo stesso ha rimarcato la gravità di tale iniziativa, ricordando che il dottor Augusto Lama (il sostituto procuratore di Massa ndr) aveva chiaramente evidenziato l’importanza di quegli atti investigativi ormai divenuti non più conoscibili e dunque inutilizzabili in futuro per le indagini sulle stesse stragi”, ha ripercorso Natoli. “Come documentato, si tratta di una affermazione clamorosamente falsa, perché le bobine delle intercettazioni telefoniche eseguite su indicazione della procura di Massa Carrara non furono mai consegnate a Palermo, e perché l’ordine di smagnetizzazione atteneva esclusivamente ai decreti emessi dal gip di Palermo”, ha proseguito l’ex magistrato, mostrando ai commissari i documenti che facevano parte del fascicolo di quell’indagine collegata, aperta nel capoluogo siciliano su richiesta dei pm toscani.
“La smagnetizzazione dei nastri era una prassi” – Natoli è anche tornato sulla questione della distruzione delle bobine, cioè su quell’ordine di smagnetizzazione delle intercettazioni che porta la sua firma (mentre il resto non è la sua calligrafia), ma che non venne mai eseguito. “Mancata esecuzione – ha spiegato – che dimostra, ove ve ne fosse bisogno, che non vi era certamente alcun mio illecito interesse a distruggere una fonte di prova rilevante, come pure sembrerebbe essere stato adombrato, giacché in tale evenienza avrei ovviamente curato che la smagnetizzazione fosse portata a compimento in tempi celeri”. L’ex giudice ci ha tenuto a sottolineare che “in relazione a quanto inopinatamente, e forse improvvidamente, sostenuto dall’avvocato Trizzino, va spiegato con cura come il provvedimento di smagnetizzazione fosse tutt’altro che eccezionale – o “mai visto né prima né dopo”, come ha detto l’avvocato Trizzino – all’epoca dei fatti nella Procura di Palermo, ovviamente nell’ipotesi di intercettazioni contenute in procedimenti archiviati o relative a processi definiti con sentenze passate in giudicato”. Negli ultimi mesi, infatti, l’ex giudice istruttore ha ricostruito come venivano gestite le registrazioni degli ascolti telefonici nell’ufficio inquirente siciliano negli anni ’90: “Questi provvedimenti di smagnetizzazione a fini di riuso dei nastri si inserivano, infatti, in una costante prassi adottata dal Procuratore di Palermo in base alle nuove disposizioni del codice di procedura penale del 1989 dettata sia dalla necessità di riutilizzare le bobine smagnetizzate per la nota carenza di fondi ministeriali fortemente presente in quel periodo, sia per la mancanza di spazi fisici (stanze o corridoi) per la conservazione dei nastri, che erano aumentati di molto dopo la istituzione della Dda di Palermo nel novembre 1991, che aveva incorporato l’attività di ben cinque Procure del distretto”.
Lo schiacciamento di conoscenze – Durante la sua audizione, Natoli ha insistito più volte su un concetto che lui definisce “lo schiacciamento delle conoscenze“: “È cosa non dubbia – ha spiegato – che durante alcune audizioni che hanno preceduto la mia sia stato adoperato ripetutamente un metodo di schiacciamento delle conoscenze, senza rispettare la cronologia dei fatti processuali e degli avvenimenti storici”. Cosa intende dire? “Secondo la ricostruzione proposta dall’avvocato Trizzino, tutte le preziose conoscenze sul sistema mafia-appalti avutesi esclusivamente a partire dalla fondamentale collaborazione di Angelo Siino (il cosiddetto ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra ndr) del luglio 1997 e dopo le dichiarazioni di Giovanni Brusca del periodo 1998/99 avrebbero dovuto essere conosciute e valorizzate dai pm Lo Forte e Scarpinato in anticipo rispetto alla storia, cioè al momento della richiesta di archiviazione depositata il 13 luglio 1992″. Nel caso delle indagini di Massa Carrara sui Buscemi, invece, “sono stati narrati come fatti veri quelle che erano mere ipotesi investigative se non addirittura semplici sospetti”.
Le presunte ritorsioni su Massa e il ruolo di Falcone – E a proposito delle indagini toscane, Natoli ha confutato anche un’altra parte delle dichiarazioni di Trizzino: quella relative alle presunte ritorsioni ordinate da Gardini nei confronti del pm Lama, grazie all’intercessione dell’allora guardasigilli Claudio Martelli. In realtà, Natoli ha ricostruito che “il 10 febbraio 1992 il pm Lama rilasciava delle dichiarazioni sulle indagini che stava svolgendo ai giornalisti de La Nazione e de Il Tirreno. A seguito della pubblicazione di tali articoli, avvenuta l’11 febbraio 1992, nonché del clamore che avevano suscitato, sempre Lama ritenne opportuno astenersi immediatamente dalle indagini in corso, restituendo gli atti al procuratore della Repubblica, dottor Duino Ceschi“. Quindi, ha proseguito l’ex giudice istruttore, “è clamorosamente destituita di fondamento la narrazione ripetutamente fatta in questi ultimi trent’anni, ma anche recentemente, secondo cui il fascicolo fu sottratto a Lama dal ministro Martelli, nell’interesse di Raul Gardini, suo amico e sodale politico, giacché tale fascicolo fu volontariamente restituito al procuratore Ceschi per astensione del Pm che aveva rilasciato delle imprudenti dichiarazioni alla stampa“. Su questa vicenda Natoli ha poi voluto sottolineare “come elemento logico “che nel febbraio del 1992, cioè quando “sarebbe stata ordita la macchinazione dall’alto ai danni del dottor Lama” al Ministero di giustizia lavorava già da un anno come direttore generale degli Affari Penali Giovanni Falcone: “Appare assai sorprendente, se non arduo, sostenere che avrebbe potuto consentire una simile manovra impeditiva a quel Ministro del quale è stato sempre ritenuto un fidato consigliere”. D’altra parte, secondo lo stesso Trizzino, Falcone avrebbe voluto approfondire le indagini su Mafia e appalti da procuratore aggiunto di Palermo: possibile che da dirigente del ministero della Giustizia abbia lasciato bloccare l’inchiesta di Massa Carrara, che si muoveva sulla stessa pista investigativa. “Pertanto – ha concluso Natoli – nessun intervento del ministro Martelli ebbe a bloccare le indagini che il pm Lama stava conducendo: la ricostruzione fatta dall’avvocato Trizzino è destituita documentalmente di ogni fondamento storico“. L’ex magistrato tornerà in Antimafia nelle prossime settimane, per rispondere alle domande dei commissari.