“Contratto di fornitura di energia elettrica a prezzo variabile? Noi non lo consigliamo e io mi sento interrogata”. Come molti milioni di utenti – pare il 40% degli italiani – ho effettuato le pratiche per il passaggio di fornitura di energia elettrica dal mercato tutelato a quello libero. Armata di fatture pagate pregresse e una lista di domande mi sono presentata allo sportello del presunto nuovo gestore – uno dei principali fornitori a livello italiano – nel giorno e all’orario stabilito. L’addetta allo sportello, come un disco registrato, parte con una filippica premasticata rispetto alle loro offerte a disposizione.

Si comincia da tre diverse opzioni ma alla fine, semplificando, mi dice: “Questo contratto con un anno di fornitura a prezzo fisso è la più conveniente”.
“Le altre due?”.
“Le sconsigliamo”.
“Scusi – chiedo -, un anno con il prezzo fisso e poi?”.
“Bah, non si sa”, risponde.
“E perché sconsigliate le altre due opzioni che però pubblicizzate?”.
Silenzio.

Allora introduco un altro mio problema relativo all’intestazione dell’utenza ancora in atto e che devo cambiare.
“Noi non ci possiamo fare niente”, risponde.
Insisto: “Se cambio gestore e passo con voi perché non potete occuparvene?”.
Smanetta sulla tastiera e risponde con una nuova versione: “Le costa 50 euro”, spiegandomi il perché quella pratica, prima impossibile, ora è fattibile alla modica cifra di 50 euro.

Cambio argomento e torno sulla questione del prezzo della corrente elettrica al netto delle spese e chiedo di aiutarmi a capire se con il contratto che loro consigliano andrei a risparmiare rispetto a quanto pago oggi con l’attuale gestore. Faccio presente che vorrei mantenere la tariffa bioraria.

Inizia a sbuffare, digita sulla tastiera e mi gira il suo monitor mostrandomi dei grafici: “Lo vede? questo è l’andamento del Pun (prezzo unico nazionale). Lo vede?” ripete. In realtà non lo vedo perché il suo schermo è troppo distante per riuscire a vedere quella rappresentazione grafica minuscola. Cerco comunque di segnarmi delle cifre e di farmi quattro conti per raccapezzarmi prima di firmare.

“Io mi sento interrogata”, sbotta l’addetta.
“Scusi?”.
“Sì, io mi sento interrogata da lei”, dice la signora. Sono perplessa, l’unica cosa che mi viene da risponderle è che ritengo sia meglio avere a che fare con un possibile utente che chiede e firma convinto di ciò che ha sottoscritto piuttosto di chi firma senza capire, salvo poi magari lamentarsi di essere stato mal informato o peggio, gabbato.
L’addetta non demorde: “Lo vede? Sono rossa”.
Mi rigira il su monitor e mi mostra un banner temporale che da verde è passato al giallo e ora è sul colore rosso: sono trascorsi forse 10 minuti da quando mi sono seduta; evidentemente il sistema ha previsto che entro quel tempo il cliente standardizzato debba aver scelto – non importa se ha capito ed è convinto – ma di sicuro deve aver firmato.
Effettuando così, naturalmente, la scelta che l’azienda ha deciso per tutti, senza neppure contemplare, evidentemente, che il possibile cliente abbia delle domande da sottoporre.
Lo schema è: quello che decide il gestore deve andare bene a tutti, stile polli allevati in batteria. Tutto ciò fa il paio con il rimpallo delle dichiarazioni politiche di questi giorni; sulle presunte colpe-responsabilità rispetto alla vicenda mercato tutelato/mercato libero.

Emerge poi che, secondo Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), il mercato libero avrebbe avuto prezzi più bassi di quello tutelato sia nel 2021, sia nel 2022.
In data 17 gennaio poi, l’Ansa ha battuto questa notizia: il prezzo del gas scende ancora e si attesta a 28 euro. Testo: “Le quotazioni del gas scendono ancora e si attestano ai livelli di ottobre 2021. Ad Amsterdam le quotazioni scendono del 5,5% a 28 euro al megawattora, dopo aver toccato un minimo di giornata di 27,8 euro. Dall’inizio dell’anno il prezzo registra un calo complessivo del 13%”. Se ciò fosse vero sarebbe un primo controsenso rispetto a ciò che tutti i rappresentanti politici si rincorrono nel dichiarare: ovvero che il passaggio sarà una fregatura per il cittadino.

Il secondo controsenso è ben riassunto da una dichiarazione di Calenda: “La sinistra non può imputare a Meloni quello che abbiamo votato nel governo Draghi, compresa la Lega. Se adesso votassimo gli emendamenti per la proroga del mercato tutelato ci richiederebbero indietro la terza rata del Pnrr”.

Terzo controsenso: la società di fornitura alla quale mi sono rivolta è – sulla carta – una pluripremiata in termini di comunicazione con il cittadino, tra le maggiori e le prime a fornire i propri utenti di “fatture parlanti”; immaginiamo allora che trasparenza di informazioni possono garantire altre realtà minori nella vera e propria giungla di nominativi di fornitori. E questo spiega tutta la frustrazione in cui siamo immersi: la farsa della liberalizzazione del mercato energetico e la presunta libertà del consumatore di poter scegliere il meglio. Ed è meglio che stabiliscono altri, a priori. A prescindere dalle esigenze.

Per la cronaca, alla fine io ho scelto proprio il contratto di fornitura il cui prezzo non è fisso ma varia a seconda dell’andamento del Pun; è stata una reazione quasi incondizionata: sottoscrivere per uno dei due contratti che quel gestore “sconsigliava”, pur avendolo inserito tra le sue tre offerte.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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