Migliaia, migliaia in coda lungo il vecchio Sant’Elia, lo stadio dove Gigi Riva giocò la coppa dei campioni e dove finì la carriera in un’infausta sfida col Milan il primo febbraio 1976, a soli trentadue anni. All’apertura della camera ardente, alle 14 in punto nello stanzone d’ingresso dell’Unipol Arena, c’è Cagliari, la sua Cagliari, ad aspettarlo in un silenzio irreale per vederlo l’ultima volta, la maglia rossoblù ai piedi, stretto in un feretro di legno chiaro troppo piccolo per un uomo così grande. Un silenzio segnato da lacrime vere, perché col numero undici dello scudetto se n’è andato il fratello di tutti, il lombardo taciturno e tenebroso che aveva scelto i sardi e la Sardegna per andare oltre i confini del calcio, della celebrità, della ricchezza. Una lunga coda silenziosa fra i due stadi che rappresentano il passato e il presente del Cagliari: qualcuno porta in braccio un mazzo di fiori, tutti hanno con sé i ricordi di quella maglia inconfondibile che sbucava dal sottopassaggio dello stadio Amsicora per scatenare un boato che era la speranza di riscatto per una Sardegna allora segnata da povertà e crimini feroci.

Gigi Riva è morto e sembra di attraversare un brutto sogno mentre la gente sfila con lo sguardo basso, gli occhi bagnati di pianto attorno al sardo-non sardo più famoso al mondo. È l’ora di punta nel capoluogo dell’isola, ma è come se il divenire del tempo si fosse interrotto in segno di rispetto: strade libere, bandiere istituzionali a mezz’asta, il respiro della città sospeso e l’attenzione rivolta già a domani, quando ogni attività dovrà fermarsi per un lutto cittadino e regionale senza precedenti. Uffici, negozi, sportelli pubblici chiuderanno per Gigi Riva, almeno sino alla fine delle esequie. I cagliaritani che lo vorranno potranno recarsi alla basilica di Bonaria, la più grande della città, dove sfileranno gli uomini di rappresentanza insieme ai tifosi di ieri e di oggi. Un abbraccio che non ha e non avrà il sapore del rituale perché il dolore per questa morte inattesa è nell’aria, si respira in ogni quartiere, è un sentimento d’amore che sembra prendere una forma visibile per coinvolgere tutti i cagliaritani, annullando le distanze sociali e qualsiasi appartenenza: “Riva è di tutti – quasi urla un anziano signore, rivolgendosi al cronista del Fatto – scrivilo che è di tutti, che per noi non morirà mai. Lui ha capito come siamo fatti noi sardi, era uno di noi, ha voluto noi fino all’ultimo e non sarà mai dimenticato”.

L’automobile con il feretro ha attraversato poco prima delle 14 il piccolo piazzale di fronte all’ingresso dell’arena rossoblù. Pochi minuti ed è arrivata la squadra del Cagliari, ragazzi che Gigi Riva hanno potuto ammirarlo soltanto nei filmati dell’epoca. Subito dopo il personale del Cagliari ha organizzato l’ingresso della gente, che aspettava da ore quel brevissimo passaggio attorno alla salma del campione. La coda dei cagliaritani, attorno alle 15, era lunga più di un chilometro e continuava ad allungarsi stretta fra le transenne sistemate al margine della strada. Donne, bambini, uomini di ogni età, in comune l’affetto per quel calciatore che si pensava immortale. Sono entrati a piccoli gruppi, non si sentiva una voce. I cronisti dopo, come è giusto. Niente foto, niente video nella camera ardente ma non c’era bisogno di divieti, perché Riva incute rispetto anche adesso. Persino le parole sono apparse superflue, il silenzio parlava più chiaro: “Io non vorrei dire nulla, in questo momento – ha quasi sussurrato il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, sollecitato dai cronisti – ha unificato i sardi, è stato un uomo importante per la Sardegna. Ma oggi – aggiunge a bassa voce – non vorrei dire nulla”. Neppure Leonardo Pavoletti ha trovato le parole: “Non saprei che cosa dire davanti a questo evento, una mazzata terribile per tutti i sardi e per il calcio italiano. È stato il più grande di tutti, con l’amore che provo per la Sardegna con lui sarebbe bastato uno sguardo per capirci”.

Mentre la gente sfila ordinata in direzione dell’ingresso una giovanissima cronista, seduta col suo portatile sul cordolo di un marciapiede, si abbandona alle lacrime. Non può averlo mai visto giocare, forse ci ha parlato qualche volta. Ma il calcio non c’entra, è difficile da spiegare ma con Gigi Riva il calcio e i gol c’entrano poco o nulla: a chi scrive, che negli anni Settanta c’era ogni domenica a vederlo, è bastato dare un’occhiata alla via Tola, dove al primo piano c’era la sede storica del Cagliari, per capire quanto stava accadendo. Riva aveva conservato per anni l’uso di un ufficio, la “sua” finestra dà sulla strada. Passava ore al mattino, affacciato a guardare la gente, poi metteva insieme la mazzetta dei quotidiani e scendeva a prendere il caffè al Bocciolo, il suo bar per decenni. Il passato di bomber micidiale s’intuiva da quella presenza ancora aitante, ma il sorriso gentile aveva ormai preso il posto dell’intensità agonistica. Poche ore fa in via Tola, proprio sotto quella finestra, c’era una cinquantina di persone malgrado Gigi, chiuso ormai in se stesso, non si vedesse più da anni. Due uomini anziani si sono trovati là, come richiamati da una memoria dispersa, e si sono abbracciati indicando quella finestra, le lacrime che scorrevano fra le rughe: “Ma te l’immagini… Gigixeddu, non fa senza di lui, non fa”. E così, in quell’abbraccio caldo, ha preso corpo e immagine l’affetto della città, della Sardegna. Per l’uomo di Leggiuno, orfano scolpito dalla sofferenza infantile, che se n’è andato con la dignità dei grandi, senza imporre un’agonia, affidando la propria fine al racconto stringato di chi ha provato a salvarlo.

Domani è il giorno dell’addio ufficiale, Cagliari si prepara a un funerale che sarà davvero un evento. Il pensiero però corre già al dopo, il dibattito è aperto: Giulini ha già detto che il nuovo stadio sarà intitolato a Riva: “Sì, sarà così” conferma il presidente del Cagliari. C’è anche chi all’orrendo murale dipinto su una parete esterna del vecchio stadio Amsicora vorrebbe aggiungere una statua. Ieri, nei dialoghi da bar, fioccavano proposte, tra cui quella di tirare giù l’antica statua del re sabaudo Carlo Felice per issare al suo posto un’effige di Gigi Riva: “Cosa ci fa quel tiranno? – si è accalorato un vecchio signore – A rappresentare la Sardegna nel mondo è stato Gigi Riva”. Fra i media si annuncia la riedizione di programmi, interviste, video, immagini del grande attaccante azzurro, con l’inevitabile rilancio dei film e docufilm che hanno accompagnato non sempre disinteressatamente il suo ultimo cammino. L’omaggio più prezioso, quello che Riva avrebbe apprezzato di più, resterà comunque quel silenzio commosso che d’istinto, seguendo una consuetudine propria dei sardi, gli è stato dedicato in questo pomeriggio difficile da dimenticare.

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