Svolta sul caso di Alessia Pifferi, la donna accusata di omicidio pluriaggravato per avere lasciato morire di stenti (nel luglio 2022) la figlia Diana di 18 mesi, abbandonandola in casa da sola per sei giorni. Adesso sono indagate per favoreggiamento e falso ideologico le due psicologhe del carcere di San Vittore che hanno redatto una relazione, effettuando un test sul quoziente intellettivo, su Pifferi. Le due professioniste sono state perquisite stamattina (mercoledì 24 gennaio) dalla polizia penitenziaria. Il pm Francesco De Tommasi aveva contestato proprio quella relazione basata sui colloqui con le psicologhe: avrebbero fornito alla donna “una tesi alternativa difensiva”, un possibile vizio di mente, e l’avrebbero “manipolata. Indagata per falso ideologico anche l’avvocata Alessia Pontenani, legale della donna accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia. Per la procura Pontenati, partecipe dello stesso “disegno criminoso”, avrebbe attestato “falsamente” per la sua assistita un quoziente intellettivo di 40, ossia di “deficit grave”, con “scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle conseguenze delle proprie azioni”.

L’ipotesi della procura – Le due psicologhe avrebbero svolto, secondo il pm, una “vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante” nelle loro “competenze”. A loro, da quanto trapela, la Procura di Milano contesta più episodi in relazione alle accuse di favoreggiamento e falso ideologico per il loro lavoro effettuato su Pifferi. “E’ nostro dovere esternare una forte perplessità rispetto ad una apparente prassi che, come ripetiamo, nella nostra piuttosto ampia esperienza, non abbiamo mai visto applicare a nessun altro detenuto”, avevano scritto gli psichiatri Marco Lagazzi e Alice Natoli, consulenti della Procura, in una relazione depositata alla Corte d’Assise nel processo in corso. Una relazione nella quale, in sostanza, hanno criticato fortemente l’operato delle psicologhe del San Vittore.

I test e al presunta manipolazione – Quel test psicometrico Wais ha stabilito che Pifferi, in pratica, ha un ritardo mentale. “Il contributo delle psicologhe è già stato ampiamente discusso – si legge nella consulenza – e non si può non essere perplessi per l’attuazione di un test che non ha nulla a che fare con la gestione penitenziaria ma è utile per la difesa penale, e per una intensiva rilettura del caso fatta con l’imputata di un così grave reato. L’impressione che si trae da tutto questo – scrivono i consulenti – è che ciò renda tra l’altro ormai inutile qualsiasi esame peritale, perché valuterebbe non i vissuti della persona, ma ciò che la stessa ha riferito di avere appreso e discusso nel lavoro con le psicologhe, unitamente al suo deresponsabilizzante convincimento di essere lei stessa una bambina (dati gli esiti del test sul quoziente intellettivo, ndr), sempre espresso dalla psicologa”. Da qui, secondo i pm, una presunta “manipolazione” sull’imputata. Le perquisizioni a carico delle due psicologhe sono state disposte dalla Procura anche per verificare, oltre ai “rapporti tra le indagate” e la donna che ha ucciso la figlia Diana, “più in generale” la “gestione” anche di altre quattro detenute da parte delle stesse professioniste.

“La tesi da sostenere” – Una delle due psicologhe del carcere milanese lo scorso primo gennaio avrebbe effettuato anche “un vero e proprio ‘interrogatorio‘ finalizzato ad acquisire informazioni sui test psicodiagnostici somministrati” alla donna “nell’ambito della perizia” psichiatrica in corso e disposta dai giudici nel processo. È quanto si evince dal decreto di perquisizione: il primo gennaio tra la psicologa e Pifferi ci sarebbe stato non un “colloquio di monitoraggio”, scrive la Procura, ma anche una “tranquilla ‘chiacchierata tra amiche’, conclusasi con uno scambio di baci e condita da risate e temi del tutto avulsi da qualsiasi problematica di natura mentale”. Tra l’altro, per l’accusa, avrebbero parlato anche delle “contestazioni sollevate dal pm in udienza” nei confronti delle stesse psicologhe e una delle due avrebbe suggerito in carcere a Pifferi la “tesi da sostenere” a difesa delle due professioniste. Intanto sarà depositata a fine febbraio la perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise (presidente Ilio Mannucci Pacini) per valutare la capacità di intendere e volere della donna.

L’ordine degli avvocati – “È difficile, mettendosi nei panni della collega, non avere la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro. E non vogliamo consentire che, proprio nella giornata internazionale per l’avvocato minacciato, una situazione del genere passi inosservata. La funzione difensiva non deve essere mai in pericolo” scrivono in una nota congiunta l’Ordine degli Avvocati di Milano e la Camera penale milanese. Il pm, scrivono il presidente dell’Ordine Antonino La Lumia e la presidente della Camera penale Valentina Alberta, “oppostosi nel processo all’ammissione di una perizia sulla capacità dell’imputata, richiesta anche sulla base del diario clinico, ha ritenuto di iscrivere nel registro delle notizie di reato anche il difensore a processo in corso”. Non si comprende, aggiungono, “l’urgenza di compiere atti di indagine, posto che i documenti ricercati sono custoditi in un istituto penitenziario e, dunque, ben difficilmente oggetto di dispersione”. E ancora: “Non si comprende tale urgenza neppure rispetto a un atto istruttorio il cui risultato è tuttora ignoto, e il cui perito incaricato si troverà a dover fare valutazioni nel merito con lo spettro di un’indagine, che potrà sempre essere estesa”.

Per gli avvocati, poi, “non si comprende la ragione del mancato rispetto delle scansioni fisiologiche del processo, che, sul modello previsto per i testimoni dall’art. 207 c.p.p., dovrebbero semmai prevedere una richiesta di trasmissione atti fatta dal Pm a conclusione del processo stesso”. Inoltre, “non si comprende, in verità, la necessità di ipotizzare un reato di falso in capo al difensore che ha utilizzato un documento ufficiale del carcere per formulare le proprie richieste di prova: ma non intendiamo entrare nel merito. Non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione del Pm. Oggi proprio nella giornata internazionale dedicata all’avvocato in pericolo, leggiamo che il difensore dell’imputata in un delicato processo in corso avanti la Corte di Assise di Milano sarebbe indagato in concorso con due psicologhe del carcere di San Vittore per falso ideologico, in relazione alla formazione del diario clinico dell’imputata in custodia cautelare”.
“La notizia – spiegano – neppure oggetto di comunicazione alla collega, ma diffusa dai mezzi di informazione, ci colpisce. È grave (rectius: inaccettabile) vederla divulgata dalla stampa, contro il principio di presunzione di innocenza, soprattutto in termini di lesione reputazionale indelebile”.

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