“Il gruppo Fiat rappresenta una parte molto importante della storia industriale nazionale, un patrimonio economico che merita la massima attenzione, e questo significa anche avere il coraggio di criticare alcune scelte del management“. Rispondendo al question time alla Camera, Giorgia Meloni torna ad attaccare la famiglia Agnelli-Elkann sulla sua politica industriale, come aveva già fatto nei giorni scorsi in tv dileggiando un titolo critico di Repubblica (controllata dallo stesso gruppo) sul piano di privatizzazioni annunciato dal governo. La premier accusa gli Agnelli di aver adottato scelte “distanti dall’interesse italiano“: “Penso allo spostamento della sede legale e fiscale fuori dall’Italia. Penso all’operazione di presunta fusione tra Fca e il gruppo francese Psa che celava in realtà un’acquisizione francese: tanto che oggi nel cda di Fca siede un membro del governo francese, non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengono maggiormente in considerazione le istanze francesi rispetto a quelle italiane”, attacca in risposta a un’interrogazione di Matteo Richetti di Azione. E proclama una sorta di revanscismo automobilistico: “Vogliamo tornare a produrre un milione di veicoli l’anno con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana. Se si vuole vendere un’auto sul mercato internazionale pubblicizzandola come gioiello italiano allora quell’auto deve essere prodotta in Italia. Questa è la questione che dobbiamo porre”.

Nel merito delle privatizzazioni, in risposta a un quesito di Forza Italia, la premier difende la scelta di dismettere quote delle aziende pubbliche: “Il governo, come è scritto nella Nadef, lavora a un piano di razionalizzazione delle partecipazioni dello Stato, dal quale sono attesi circa venti miliardi di euro in tre anni, ed è un obiettivo alla nostra portata. Le privatizzazioni non servono però a fare cassa, devono essere considerate anche uno strumento di politica industriale e un fattore di sviluppo, ed è questa la ratio che ci muove. Dobbiamo ridurre la presenza dello Stato dove non è necessaria e rafforzarla dove è necessaria, sugli asset strategici. Significa anche garantire la presenza dello Stato dove oggi non c’è. Abbiamo avviato questo percorso con la vendita delle quote del Monte dei Paschi di Siena, in poche ore abbiamo ricevuto domande per oltre cinque volte il capitale iniziale, e così gli italiani hanno visto rientrare dopo anni una parte dei soldi che andavano a Mps”, rivendica. E anche qui passa al contrattacco: “Non si tratta di svendere, perché l’impostazione di questo governo è diversa dal passato, quando le privatizzazioni erano regali miliardari fatti a imprenditori amici, come il modello degli oligarchi russi quando si è dissolta l’Unione sovietica”.

In Aula si consuma poi un aspro faccia a faccia tra Meloni e il leader del M5s Giuseppe Conte sulla riforma del Patto di Stabilità, l’accordo raggiunto a dicembre dal Consiglio europeo in termini molto deludenti per l’Italia. Rispondendo all’interrogazione del capogruppo pentastellato Francesco Silvestri, la leader di FdI nega il fallimento e se la prende ancora una volta con il Superbonus: “Quelle approvate sono le regole che avremmo scritto? No. È l’intesa migliore possibile alle condizioni date? Sì. Quando ti presenti al tavolo delle trattative con un deficit al 5,3% causato soprattutto dalla ristrutturazione gratuita delle seconde e terze case e chiedi maggiore flessibilità, è possibile che qualcuno ti guardi con diffidenza. E se noi, nonostante l’eredità pessima, abbiamo portato a casa un buon compromesso è perché in un anno abbiamo mostrato che la stagione dei soldi gettati al vento per pagare le campagne elettorali è finita (video)“. Nella replica, però, Conte la richiama alle sue responsabilità: “Ha illuso gli italiani dicendo che avrebbe fatto tremare l’Ue. Qui a tremare è l’Italia, per un pacco di stabilità. Cosa ha fatto a Bruxelles? Le battaglie si possono anche perdere ma perderle senza combattere significa perderle con disonore”.

L’interrogazione di Noi moderati, la gamba centrista della coalizione, è invece l’occasione per rivendicare l’abolizione del Reddito di cittadinanza: “Sono molto fiera del lavoro che abbiamo fatto, perché se non sei disponibile a lavorare non puoi pretendere di essere mantenuto con i soldi di chi lavora ogni giorno. Con la legge di bilancio 2023 il governo ha deciso di superare una misura che ritenevamo sbagliata, quella sul reddito di cittadinanza, e ha introdotto due misure sostitutive per i percettori di quel reddito: una destinata a chi era in condizione di lavorare e una destinata invece a chi non era in condizione di farlo. Questo perché abbiamo sempre considerato un errore mettere queste due realtà sullo stesso piano”, dice. Parlando dell’assegno di inclusione, cioè della misura prevista per i “non occupabili”, Meloni comunica: “Al 20 gennaio su una platea di 737mila nuclei familiari potenziali sono già 600mila quelli che hanno presentato domanda. E i primi pagamenti per coloro che hanno superato i controlli, perché in questo caso, a differenza del Reddito di cittadinanza, i controlli li facciamo prima e non li facciamo dopo (video), partiranno venerdì 26 gennaio”.

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