Il governo d’Israele continua a negare che esistano possibilità di una nuova tregua in cambio della liberazione dei circa 130 ostaggi ancora in mano a Hamas, ma da più fonti arrivano notizie di colloqui ben avviati tra le parti, mediati da Stati Uniti, Egitto e Qatar, su un nuovo possibile stop alle ostilità. Secondo quanto si legge su diversi media internazionali, tra cui il Wall Street Journal che cita fonti del governo egiziano, a essere maggiormente disposto a una nuova tregua è il partito armato palestinese, pronto a liberare altri civili in cambio di un cessate il fuoco, o comunque di una pausa umanitaria prolungata, e del rilascio di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Nelle scorse settimane il gruppo aveva respinto qualsiasi proposta che non comportasse un cessate il fuoco permanente, ma secondo il quotidiano finanziario americano su questo c’è stata un’apertura da parte dei vertici di Hamas. Maggiori specifiche arrivano da Reuters che parla di un possibile accordo sulla base di 30 giorni di cessate il fuoco nella Striscia.
D’altra parte, erano stati gli stessi Stati Uniti a confermare di essere impegnati in “discussioni serie” per ottenere un’altra pausa umanitaria a Gaza, dicendosi anche favorevoli, per bocca del portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby, a “una pausa più lunga” se questo consentisse il rilascio delle persone catturate nell’attacco del 7 ottobre scorso e l’ingresso di più aiuti umanitari.
Una situazione del genere, se venisse confermata, contrasterebbe con le dichiarazioni più volte rilasciate dal governo israeliano nelle scorse settimane sull’impossibilità di una nuova tregua che “favorirebbe Hamas“. Non a caso, la portavoce del governo, Ilana Stein, in una conferenza stampa ha chiarito: “Non ci sarà alcun cessate il fuoco. In passato ci sono state pause per scopi umanitari. Quell’accordo è stato violato da Hamas. Israele non rinuncerà alla distruzione di Hamas, alla restituzione di tutti gli ostaggi così che non ci sarà alcuna minaccia alla sicurezza da Gaza nei confronti di Israele”.
A rafforzare la posizione dell’esecutivo sono poi gli esponenti della sua ala più radicale, i ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir che si schierano contro ogni possibile nuovo accordo con Hamas: “Fermare la guerra in un momento così sensibile potrebbe mettere in pericolo l’intera operazione, con un alto costo a Gaza e su altri fronti”, ha scritto Smotrich in una lettera al governo in cui chiede l’immediata convocazione del gabinetto di sicurezza. “A favore del ritorno degli ostaggi, contro questo orribile accordo”, ha invece scritto su X Ben Gvir.
Intervenendo alla Knesset in occasione del 75esimo anniversario della sua fondazione, il primo ministro Benjamin Netanyahu non ha invece fatto riferimento ad accordi o indiscrezioni, limitandosi a dire che “questa è una guerra per la casa. Si concluderà solo dopo che avremo respinto l’aggressione e la malvagità dei nuovi nazisti. Gli obiettivi della guerra restano gli stessi: demolire il regime di Hamas, riportare indietro tutti gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti mai più una minaccia per Israele. Non c’è nè ci sarà mai alcun compromesso riguardo la garanzia della nostra sicurezza per le generazioni a venire”.
Non si placa, però, la protesta dei familiari degli ostaggi e di chi, in tutto il Paese, ne chiede la liberazione. Dopo l’irruzione di martedì alla Knesset, strade e incroci sono stati bloccati in diverse zone del Paese da donne scese in strada per chiedere la liberazione immediata, tramite un accordo, delle persone nelle mani del partito armato palestinese.
Intanto ll direttore dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) a Gaza, Thomas White, ha denunciato su X che nove palestinesi sono stati uccisi e 75 feriti “dopo l’attacco” contro un centro di formazione dell’Onu diventato un rifugio a Khan Yunis. “Due carri armati hanno colpito un edificio che ospita 800 persone”, ha detto White su X, mentre l’esercito israeliano intensifica le operazioni contro Hamas a Khan Yunis. Mercoledì sera gli Stati Uniti hanno condannato l’attacco: “Deploriamo l’attacco di oggi al centro di formazione delle Nazioni Unite a Khan Yunis”, ha detto ai giornalisti il vice portavoce del Dipartimento di Stato, Vedant Patel, definendo l’incidente “terribilmente preoccupante”.