Durissima critica del filosofo Massimo Cacciari sul ddl Calderoli sull’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Ospite della trasmissione L’Italia s’è desta, su Radio Cusano Campus, Cacciari osserva: “È una legge senza capo, né coda. Tutti coloro che hanno affrontato la questione hanno sempre detto che il presupposto per una riforma seria in questo senso sia un riassetto complessivo dell’ente Regione. Con questa riforma, invece – sottolinea – decidi una differenziazione delle Regioni dall’alto, con criteri stabiliti sempre dall’alto, cioè da Roma, a prescindere dalla realtà specifica delle singole Regioni. Ma questo è il colmo del centralismo, altro che federalismo“.
E spiega: “Occorre invece responsabilizzare fino in fondo le Regioni, bisogna trasformarle da enti che vivono di trasferimenti finanziari a enti totalmente responsabili anche sul piano della riscossione delle imposte e si devono fare delle Regioni che abbiano un senso anche dal punto di vista quantitativo. Che senso ha – continua – un assetto regionale in cui ci sono regioni più grandi dell’Olanda e del Belgio messi insieme e altre da 100mila abitanti? Che senso ha avere Regioni a statuto speciale che fanno quello che vogliono e altre l’opposto? È tutto un assoluto casino e occorre riassettare tutto. Ma, al momento attuale, questa cosiddetta riforma non può fare altro che aumentare la confusione”.
Il filosofo ribadisce l’importanza di un’autonomia regionale effettiva e funzionale: “Se le Regioni hanno una certa dimensione, degli effettivi poteri e delle effettive responsabilità specificate, non certo quel casino che hanno fatto con la riforma del Titolo V, va da sé che ciascuna di loro marcerà in modo differenziato rispetto alle altre. Sarà una conseguenza del tutto logica. Capite l’assurdità di stabilire delle procedure differenziate tra Regione e Regione, laddove nessuna Regione è veramente autonoma, perché vive di trasferimenti statali?“.
E puntualizza che solo attraverso un riassetto delle Regioni e una effettiva autonomia a 360 gradi il Sud potrà crescere: “I veri meridionalisti sono sempre stati federalisti, non hanno mai chiesto a Roma carità, benevolenza, finanziamenti. Hanno chiesto autonomia. A partire dal nostro Risorgimento, prima i piemontesi, poi i romani hanno fatto una politica meridionale basata soltanto sui trasferimenti dall’alto. Una follia – prosegue – che continua ininterrottamente, senza differenza per le politiche industriali. E continua a essere questa la politica, magari giustificabile nell’immediato dopoguerra perché si doveva dare uno scossone forte, rapido e deciso nel brevissimo periodo. Ma adesso continuare con quella linea…scherziamo?”.
Cacciari aggiunge: “Il divario tra Nord e Sud si può sanare solo se si fa leva sulla responsabilità effettiva dell’ente Regione rinnovato, sulle imprese, sulle capacità imprenditoriali, sulle risorse umane locali, perché possono decidere solo loro dove e andare e che cosa fare. Non può più essere decisa una politica di sviluppo del Sud da Roma. Tra l’altro, nel secondo dopoguerra c’erano grandi personalità che avevano una strategia. Adesso chi abbiamo? La Meloni o la Schlein che decidono le politiche del Mezzogiorno? Ma siamo pazzi?“.
Il filosofo infine esprime preoccupazione per i programmi scolastici decisi dalle Regioni, nonché dai concorsi pubblici per i docenti su base regionale e non più nazionale: “Al momento attuale vedo un pericolo in questo. Non può essere che una Regione decida di non studiare l’italiano e di studiare, invece, il dialetto veneto, non ha senso. Perché – conclude – anche se logico che tutte le politiche di formazione professionale siano specifiche per diverse regioni, ci devono essere comunque un indirizzo generale e dei parametri nazionali chiari all’interno dei quali tutte le Regioni possano muoversi autonomamente sulla base delle loro specificità”.