Otto condanne, da un anno e quattro mesi a tre anni, e 12 assoluzioni nell’ambito del processo Bt Italia, controllata di British Telecom, per cui nel novembre del 2020 era stati disposti dal giudice per l’udienza preliminare di Milano 22 rinvii a giudizio. La sentenza è stata emessa dalla II sezione penale del tribunale di Milano. Le principali accuse ipotizzate a vario titolo erano false comunicazioni sociali (per gli anni 2013 e 2014 è stata dichiarata la prescrizione) ed emissioni di fatture false per 58 milioni.
Esclusa dai giudici Mancini-Ballesi-Lentini la responsabilità della società Bt Italia, “perché l’illecito amministrativo non sussiste”. Per i condannati, assolti o prescritti per alcuni di imputazione, sono stati riconosciuti, a vario titolo, il falso in bilancio (riconosciuto solo in riferimento al 2016) e un episodio di frode in pubbliche forniture. Tra i condannati compare l’ex direttore finanziario Luca Sebastiani (3 anni) e l’ex manager Walter Crosignani (2 anni, pena sospesa), tra gli assolti invece Corrado Sciolla, all’epoca dei fatti presidente del cda di BT Italia. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni.
L’avvocato Giuseppe Iannaccone, che, con le colleghe Caterina Fatta e Annagiulia Zambelli, ha assistito l’ingegnere Sciolla, si dice “pienamente soddisfatto dell’esito di questo processo, che, dopo tanti anni, ha riconosciuto la piena innocenza del mio assistito. Sciolla è un amministratore preparato e onesto, che, all’epoca dei fatti, aveva addirittura guidato la società fuori dal caos creato dalla notizia di un presunto ‘bucò di bilancio da centinaia di milioni di euro”.
Il difensore non risparmia un plauso alla procura di Milano, a rappresentare la pubblica accusa in aula è stata Silvia Bonardi, a cui va riconosciuto “il merito di aver istruito un complicato procedimento penale, che ha comunque permesso di far luce sui fatti che hanno interessato BT. Mi auguro che il lavoro degli inquirenti continui ad essere caratterizzato da grande equilibrio e indirizzato a tutelare i mercati finanziari da quei comportamenti illeciti che possano compromettere anche l’immagine del nostro Paese all’estero”. Per la pubblica accusa, secondo quanto emergeva nell’atto di chiusura delle indagini, gli indagati avrebbero effettuato una “sistematica sovrastima degli stanziamenti relativi alle fatture da emettere” e una “irregolare contabilizzazione di fatture duplicate”, presunti artifici che avrebbero restituito ricavi e utili ‘gonfiati’, non corrispondenti al vero per nascondere ingenti perdite.