La corposa falange dei fiscalisti al governo in appena un anno ha compiuto una delle sue missioni principali. Certamente una convinta copertura politica è stata data dalla premier, che nel suo memorabile discorso elettorale a Catania aveva definito le tasse come un pizzo di Stato. Nel giro di appena un anno la lotta all’evasione fiscale, come logica conseguenza, è finita su di un binario morto. Lo Stato vuole rinunciare deliberatamente ai circa 30 miliardi che sono a portata di mano, per la gioia di imprese e degli autonomi che possono non pagare il 70% delle tasse dovute. Un immorale paradiso fiscale per settori eletti consentito dalla politica.
La lotta senza quartiere alla lotta all’evasione fiscale della Meloni e company è stata portata avanti sistematicamente e, per ora, in quattro mosse. Una specie di poker d’assi fatale per la finanza pubblica e i cittadini onesti. Il primo asso è stato l’innalzamento dell’uso del contante, portato a 5.000 euro. Meloni qui si è battuta per la tutela della libertà personale. Naturalmente ha contestato anche Bankitalia che aveva messo in guarda sul fatto che il contante non è solo un veicolo di evasione del fisco, ma anche la palude economica della criminalità organizzata. La premier non si è fatta persuasa.
Il secondo asso a favore dell’evasione sono stati i numerosi condoni varati in questo anno e mezzo. Come si sa, il condono è una resa dello Stato – e poi i condoni sono come le ciliegie, uno tira l’altro. Il loro numero nell’era Meloni è anche difficile da contare. Pare che siano 17, ma dovrei chiedere conferma al mio amico commercialista. Per non scontentare veramente nessuno si è passati dalla rottamazione delle cartelle esattoriali, alle multe stradali, ai guadagni da criptovalute. Poi sono arrivati gli sconti sulle controversie tributarie e le modalità agevolate per gli avvisi bonari. A seguire, sanzioni ridotte per gli atti di accertamento e così via. Il mondo variegato dell’evasione è stato condonato a 360 gradi, così che tutti i partiti della coalizione governativa potessero guadagnare la loro fetta di consenso elettorale.
Il terzo asso nella manica è stata, naturalmente, la flat tax per gli autonomi. Messa da parte la promessa flat tax incrementale per tutti perché troppo costosa – ma questo si sapeva già – l’asticella per gli autonomi è stata portata dai 65.000 euro agli 85.000 euro. Il vantaggio annuale per questi fortunati della lotteria fiscale è stato quantificato dell’Upb in più di 9.000 euro netti annui (un fisco di cittadinanza?). Lo stesso ufficio ha poi rilevato nelle sue relazioni che la flat tax produce uno strano fenomeno: i valori del fatturato di molti autonomi si attestano appena al di sotto del livello soglia. Il mistero è facilmente risolto. Molti contribuenti semplicemente non fatturano in chiaro per non superare il limite e incorrere in una tassazione più elevata. Senza poi trascurare il fatto che i forfettari, non potendo scaricare le spese, saranno ancora più tentati di non farle emergere. Nero su nero insomma, in una economia da terzo o quarto mondo.
Il quarto asso, il concordato fiscale, è un vero capolavoro di maligna astuzia fiscale, come segnalato anche a più riprese su queste pagine da molti interventi. Una famigerata pietra tombale nella lotta all’evasione. In questo modo non solo l’evasione viene di fatto legalizzata, nel gergo legislativo il reddito viene concordato, ma addirittura sparirà dalle statistiche. In effetti se un autonomo consegue un reddito superiore rispetto a quello pattuito sarà su questa parte esente. D’altro canto, se il reddito dichiarato per gli autonomi oggi risulta per il 70% evaso, è chiaro che vi sarà una gigantesca convenienza da parte dei contribuenti infedeli. Quel 70% di tasse evase non verrà più ricercato dal fisco, ma scomparirà miracolosamente dalle statistiche. È probabile che nei prossimi anni vedremo nella relazione ufficiale una riduzione dell’evasione dell’Irpef degli autonomi e delle imprese. Merito degli sforzi del governo? Per nulla. La semplice ragione è che una parte rilevante non sarà conteggiata in quanto legalizzata. È come se dicessimo che gli incidenti stradali in Italia diminuiscono perché non conteggiamo i dati di alcune Regioni.
In realtà, anche qui emerge il deterioramento morale della destra meloniana. Il concordato fiscale era già stato previsto da Tremonti. Ora il governo ci riprova rendendolo molto allettante per gli autonomi e le imprese. Il concordato fiscale affonda la lotta all’evasione su due fronti: premia chi ha evaso e la fa scomparire dalle statistiche. Un vero colpo da maestro, degno di un Lupin fiscale.
Con questo poker pro evasione la signora Meloni sicuramente si è guadagnata la fama di santa protettrice degli evasori fiscali. In questo possiamo tranquillamente dire che ha superato il suo maestro, Silvio Berlusconi. Anche nel campo fiscale, più che una premier fascista – pur se si culla negli squallidi ideali reazionari del Ventennio – a me pare una leader sfascista. Quel poco che era stato costruito negli anni per mordere efficacemente i ladri del fisco è stato smantellato in un solo anno e forse per molto tempo. Non tutto peraltro, perché l’Europa ci guarda e non possiamo proprio essere così maldestri.
Comunque, visto il vento che tira, anch’io nel mio piccolo mi sto attrezzando. Quando dovrò fare qualche lavoro di ristrutturazione della vecchia casa familiare non penso che chiederò ricevute o fatture ai prodi artigiani. La premier ci ha autorizzato ad evadere e anch’io, anche se un po’ malvolentieri, mi adeguerò a questo nuovo andazzo tributario per lucrare il giusto. D’altronde sembra che la destra sovranista abbia fatto proprio il motto di Leona Hensley che diceva che solo gli stupidi (little people) pagano le tasse. Io non vorrei finire, mio malgrado, in questa triste categoria. Lei finì in carcere negli Usa per evasione fiscale. In Italia probabilmente sarebbe diventata consulente governativa.
Anche la destra può e dovrebbe avere una sua limpida moralità fiscale. Qualcuno batta un colpo prima che sia troppo tardi e la gente onesta cominci a infuriarsi.