“La maggior parte dei dipendenti con cui ho parlato è contraria a questo protocollo dal punto di vista etico – spiega il delegato Usb Sandro Platone – ma c’è anche l’imbarazzo di dover mettere noi la faccia con i clienti, per scelte fatte dai vertici che rifiutano di fornire chiarimenti e temporeggiando nel tornare sui propri passi e ritirare l’accordo”. Una protesta che va avanti dallo scorso anno, questa contro il protocollo Iren-Mekorot, che è cresciuta di pari passo con l’escalation bellica a Gaza, dal momento che l’esercito di Netanyahu non fa mistero di avere usato proprio il monopolio dell’energia elettrica e dell’acqua come “armi” per convincere la popolazione civile della Striscia di Gaza ad abbandonare le proprie case prima dei bombardamenti e dell’ingresso dell’esercito. Ma le polemiche precedono la riacutizzazione del conflitto: “Da anni le Nazioni Unite denunciano come Mekorot sia strumento del sistema di apartheid di Israele contro il popolo palestinese”, scandiscono al microfono gli attivisti davanti alla sede commerciale di Iren di Genova (chiusa per lavori di manutenzione, come avviene ogni volta in occasione di queste iniziative). Alla protesta di attivisti e sindacati di base, in Liguria come in Emilia Romagna, si unisce la voce dei sindacati confederali, che rappresentano una grande fetta dei dipendenti della società e fin dall’inizio contestano il protocollo: “Alle nostre richieste di chiarimento non abbiamo ricevuto nessuna risposta dall’azienda – spiega al Fatto il segretario Filctem Cgil Silvano Chiantia – pensiamo sia opportuno ritirare questo accordo, soprattutto in questo momento drammatico, continueremo a chiederlo in tutte le sedi aziendali e istituzionali dove sarà possibile”.
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