Cgil, Cisl e Uil chiedono al governo un incontro “urgente” in merito alla possibile vendita di un’altra quota di Poste italiane. I sindacati sottolineano che “un percorso del genere richiede in via preliminare adeguato dialogo sociale con la rappresentanza dei lavoratori”. Giovedì il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento che autorizza il ministero a vendere una parte della sua partecipazione che oggi si attesta al 29,2% del capitale. Un altro 35% fa capo a Cassa depositi e prestiti, a sua volta controllata all’83% dallo stesso ministero del Tesoro. Il ministero ha precisato che la nuova operazione di privatizzazione di Poste avverrà nell’ambito di una più ampia “riorganizzazione delle partecipazioni pubbliche”, in cui il governo valuterà se dismettere alcuni asset non essenziali, se vendere alcune quote di altre società, mantenendone il controllo se strategiche, o se eventualmente aumentare quelle in suo possesso. Per quanto attiene nello specifico Poste la tempistica e la quota da immettere sul mercato saranno decise “senza nessuna fretta in base alle condizioni di mercato”, per il miglior risultato per il pubblico e nel rispetto dei piccoli azionisti.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha affermato che lo Stato deve “mantenere il controllo” e che “non possiamo scendere sotto il 35%“. Su Poste “il governo ha autorizzato il Mef a procedere nei tempi che ritiene utili, e nelle forme che ritiene migliori, ai fini di vendere parte delle quote mantenendo il controllo pubblico di una azienda strategica che va molto bene”. Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Da quel che si capisce potrebbe insomma finire sul mercato fino al 29%, più di quanto originariamente ipotizzato (tra il 10 e il 20%) con un incasso per lo stato vicino ai 4 miliardi, alle quotazioni attuali.
Quotata nel 2015, Poste Italiane vale oggi in borsa 13,4 miliardi di euro (+ 6% nell’ultimo anno ma ancora piuttosto distante dal picco raggiunto nell’ottobre 2021). Al di là degli immediati benefici finanziari che comporta la vendita di una quota, il Tesoro ridurrebbe però stabilmente i dividendi di sua spettanza. Lo scorso anno Poste ha versato al Tesoro cedole per 260 milioni di euro.In passato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si era peraltro vigorosamente opposta all’ipotesi di un’ulteriore cessione di quote. Il gruppo ha oltre 120mila dipendenti.