Un altro dietro front per Milei. A soli due mesi dall’insediamento, Javier Milei, il presidente argentino di estrema destra e ultra-liberista, si trova a fare i conti con la mancanza di una maggioranza in parlamento. Dopo aver affrontato il maxi-sciopero indetto dai sindacati contro deregulation e privatizzazioni, dopo aver cacciato il ministro delle Infrastrutture Guillermo Ferraro per presunti flirt con la stampa, ora l’inquilino della Casa Rosada si è visto costretto a stralciare il pacchetto fiscale dalla legge Omnibus, il mega-decreto sulla deregulation contenente inizialmente 600 articoli. L’obiettivo di Milei è ottenere l’approvazione del Congresso già la prossima settimana, ma gli esperti prevedono una seduta comunque lunga e complessa. La mossa è stata annunciata dal ministro dell’Economia argentino, Luis Caputo, dopo i negoziati frenetici con le opposizioni, per evitare uno stallo al Congresso e provare piuttosto ad accelerare l’approvazione della lenzuolata di riforme alla Camera dei Deputati, dove il percorso si annuncia comunque ad ostacoli, in una settimana ad alta tensione politica.

Nonostante fossero stati i principali cavalli di battaglia della campagna elettorale del leader del partito La Libertà Avanza, Milei rinuncia a tutti gli articoli sulle esportazioni, le pensioni e le tasse. Dalla nuova bozza della legge era del resto già emersa anche la rinuncia alla privatizzazione dell’azienda energetica Ypf, un altro cavallo di battaglia del neopresidente. Ma se il governo non avesse ritirato l’insieme di articoli che riguardano nello specifico le esportazioni delle regioni, le modifiche del calcolo dell’aumento delle pensioni, la moratoria fiscale e una revisione delle tasse sui redditi “avrebbe subito una sconfitta certa in Parlamento. Per questo ha dovuto fare dietrofront”, ha spiegato all’Ansa un deputato dell’opposizione “dialogante”. “Siamo d’accordo sull’urgenza dell’equilibrio di bilancio – aggiunge la fonte – ma il meccanismo per arrivarci deve essere equo e ragionevole, e quanto previsto dalla legge Omnibus non lo era”.

Ad assumere la posizione più intransigente sul pacchetto finanziario sono stati i governatori. In un colloquio col ministro degli Interni Guillermo Franco, gli amministratori venerdì mattina avevano spiegato che i prelievi sulle esportazioni avrebbero asfissiato le entrate generate dalle economie locali (minerali al nord, agricoltura al centro, energia al sud) risultando in “un suicidio davanti al proprio elettorato”. In particolare, secondo le stime della Borsa del Commercio di Rosario, le trattenute previste dalla legge Omnibus con l’incasso del diritto di esportazione avrebbero portato 8.050 milioni di dollari nelle casse dello Stato, ovvero 700 milioni di dollari in più rispetto ad ora.

L’obiettivo della Libertà Avanza è ora quello di presentare la legge alla Camera dei deputati martedì 30 gennaio, per un’approvazione lo stesso giorno, e così avanzare al Senato. Uno scenario che mette sotto pressione il presidente della Camera, Martin Menem (Lla) – nipote dell’ex presidente Carlos Menem – che non gode di un buon rapporto con l’inquilino della Casa Rosada, a causa di una gestione dell’aula ritenuta “piuttosto inesperta“.

Secondo gli esperti sarà una settimana molto tesa, perché al netto del pacchetto fiscale, i 500 articoli della legge Omnibus prevedono ancora punti molto controversi, come i poteri delegati al presidente. La questione dei “superpoteri” a Milei per un anno (ne aveva inizialmente chiesti due con proroga a quattro) crea molte perplessità. In base a questo meccanismo, infatti, la Casa Rosada potrebbe tornare ad imporre il pacchetto fiscale appena ritirato. E proprio su questo tema si prevede una dura battaglia, per una seduta che si annuncia complicata, accesa e molto lunga.

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