Oggi, cent’anni fa, finiva l’esperienza dello Stato libero di Fiume: il 27 gennaio 1924 veniva firmato il Trattato di Roma tra il Regno d’Italia e il Regno di Serbia, Croazia e Slovenia. L’esperienza di Fiume città libera era iniziata nel settembre 1919 quando Gabriele d’Annunzio, alla testa di un gruppo di volontari, aveva occupato la città evacuata dagli Alleati, impadronendosi del potere. Il Vate aveva creato uno Stato indipendente col proposito di dimostrare il carattere italiano di Fiume e di prepararne l’annessione all’Italia. Un passo ulteriore fu il Trattato di Rapallo del novembre 1920, firmato da Italia e Jugoslavia grazie e cui l’Italia, rinunciava solamente alla Dalmazia eccetto Zara e alcune isole. Di fatto Fiume rimaneva stato libero, ma cadeva la “Reggenza italiana del Carnaro”; d’Annunzio cercò di opporsi all’Italia, ma provocò solo il “Natale di sangue” del 1920 (che provocarono decine di morti da una parte dall’altra) e la seguente vittoria degli autonomisti di Riccardo Zanella alle elezioni dell’aprile 1921. Passò meno di un anno e nel marzo del 1922 i fascisti organizzarono un colpo di stato che ebbe successo. Nell’ottobre dello stesso anno Benito Mussolini divenne presidente del Consiglio, fatto che condusse alla definitiva annessione all’Italia dello stato di libero di Fiume che fu sancita, appunto, dal Trattato di Roma del 27 gennaio 1924.
Per ricordare quel momento storico essenziale della storia d’Italia ilfattoquotidiano.it ha contattato Fabio Todero, ricercatore dell’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea del Friuli Venezia Giulia, già co-curatore insieme a Raoul Pupo della mostra Un Fiume di storie: documenti, immagini e libri dell’impresa fiumana che si tenne a Trieste nell’autunno 2020. “La storia dello Stato libero di Fiume – dice Todero – era finita ancor prima di cominciare. Già le elezioni del 1921 furono precedute e accompagnate da violenze fasciste tali da creare un clima di gravi difficoltà, una coda di quegli atti che stavano accompagnando le vicende della frontiera adriatica. E poi nonostante il successo del partito autonomo di Zanella, vi fu subito una sorta di golpe fascista capitanato dal toscano Francesco Giunta, già ras di Trieste, per cui il Trattato di Roma non faceva che sancire una situazione di fatto già esistente. In pratica il profilo dello stato libero di Fiume creato dal Trattato di Rapallo apparve compromesso sin da subito”.
Ovviamente il ruolo di Gabriele d’Annunzio in questa situazione era ormai inesistente: “D’Annunzio era fuori gioco – sottolinea lo studioso -. Dopo l’impresa di Fiume e il ‘Natale di sangue’ il Vate finirà per seppellirsi nel suo Vittoriale, emarginato dalla politica italiana poiché era difficile immaginare che potesse esserci un’alternativa a Mussolini. Ormai siamo nel 1924, un anno drammatico connotato da violenze e assassinii, come quelli di Matteotti e don Minzoni, che rappresentarono un punto di svolta del regime”.
E a livello internazionale, l’esperienza di Fiume come era vista? “In effetti quella di Fiume non era l’unica situazione del genere: per esempio c’erano Danzica in Polonia e Memel, tra la Germania e la Lituania. Si trattava di costruzioni molto fragili – prosegue Todero – in un’epoca di grande crisi, anche perché i trattati di pace di Parigi del 1919 non avevano di fatto stabilizzato i confini di tutta l’Europa, ma continuavano a esistere molti punti di crisi, al cui interno si trovavano le situazioni di queste città-stato particolari. E Fiume non sfuggiva a questa regola”.
Trascorsa anche la seconda guerra mondiale, la situazione si sarebbe addirittura capovolta per l’Italia che usciva sconfitta dal conflitto: “L’esodo da Fiume – spiega il ricercatore – accadde un po’ ‘a fari spenti’ perché l’attenzione dell’opinione pubblica era tutta puntata su Pola. Semmai per Fiume è interessante sottolineare che gli stessi autonomisti fiumani, stimati dalla popolazione locale e invisi al fascismo, con l’occupazione delle truppe del maresciallo Tito finiscono nel loro mirino, proprio perché godevano del consenso popolare. Quindi sono nuovamente oggetto di violenze, addirittura con eliminazioni fisiche. Praticamente il destino di Fiume è segnato nel momento in cui le truppe di Tito mettono piede in città”.
E oggi a Fiume come si vive? “Si può rispondere parzialmente alla domanda – conclude Todero -. Dal punto di vista delle relazioni culturali, di storiografie e di associazioni esiste una buona collaborazione tra le autorità cittadine e la Società di studi fiumani che ha a Roma un archivio molto importante e che è riuscita ad aprire importanti canali di relazioni e rapporti tali da restituire alla città monumenti e luoghi della memoria che ricordano la storia di Fiume italiana. Per cui la memoria non si è perduta: a Fiume c’è una comunità italiana molto vivace che mantiene vive le proprie tradizioni anche se il contesto è ovviamente cambiato rispetto a quello della Jugoslavia degli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo”.