Le guerre, più o meno mascherate, stanno aumentando. Alla lunga lista del 2023 (Ucraina, Palestina, Kurdistan, Sudan, Niger per citare quelle con maggior dispiegamento di mezzi) si sono aggiunte in questo scorcio di 2024 i bombardamenti fra Iran e Pakistan, fra Israele e Libano e ora fra yemeniti e noi occidentali. Anche noi italiani, a dispetto della costituzione, siamo in guerra.
Perché la guerra? Nel 1932 Freud e Einstein, su impulso della Società delle Nazioni, si scrissero lettere su questo argomento. I due intellettuali si posero molte domande e proposero l’avvento di una autorità sovranazionale dotata di forza propria capace di impedire le guerre, ritenendo però questo auspicio irrealizzabile. Freud nella lettera di risposta spiegò ad Einstein il dualismo fra eros e thanatos, cioè fra istinto di vita e istinto di morte, presenti entrambi in tutti gli uomini. Per ridurre la probabilità di nuove guerre lo psicoanalista propose l’aumento dei legami economici, affettivi, relazionali fra i popoli e fra le persone.
Sappiamo dalla storia che purtroppo i loro auspici, formulati nel 1932, vennero tristemente negati dalla seconda guerra mondiale che distrusse milioni di vite. Da allora i legami fra i popoli, grazie allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, è aumentato moltissimo; ma purtroppo dobbiamo convenire con il Papa sull’idea che la terza guerra mondiale sia iniziata “a pezzi”.
Einstein affermò che non sapeva come si sarebbe svolto questo conflitto, ma che quello successivo sarebbe stato combattuto con le pietre. Le ragioni di questa terza guerra mondiale sono complesse. Esistono motivazioni economiche, fra cui spicca il paventato distacco di una fetta del commercio mondiale, attuato dai paesi aderenti ai Brics, dal dollaro, con potenziale impoverimento del contribuente americano. Visioni geopolitiche sulle sfere di influenza mondiali e la presenza in molti stati di dittatori sanguinari che hanno “bisogno” di un nemico per perpetrare il loro dominio. Tutte queste ragioni hanno buon gioco nel fomentare controversie locali (fra abitanti nel Donbass che parlano lingue diverse o abitanti in Palestina con religioni diverse).
Rimane la domanda sul perché della guerra a livello psicologico: in questi novant’anni passati dalle risposte di Freud, la psicologia ha fatto delle scoperte che possono aiutarci a comprendere le ragioni inconsce o coscienti che portano, pare inevitabilmente, gli esseri umani alla guerra?
La teoria dell’attaccamento elaborata da John Bowlby intorno agli anni 1970/1980, basata su studi attuati sui bambini, a mio avviso ci può aiutare. In estrema sintesi secondo tale teoria si distinguono tre stili di attaccamento originati dal modello educativo: stile di attaccamento sicuro, stile insicuro evitante e stile di attaccamento insicuro ambivalente. Vi è un quarto stile di attaccamento, che potremmo definire molto problematico o patologico, definito disorientato/disorganizzato. Coloro, stimati nel 40% della popolazione, che hanno vissuto nell’infanzia uno stile di attaccamento insicuro evitante o ambivalente hanno costantemente bisogno nell’età adulta di rassicurazioni e vivono le altre persone come continue fonti di turbamento. Per tendere a una sicurezza interiore, che non raggiungeranno mai completamente, alcuni di loro ricercheranno posizioni di potere, predominio sulle altre persone, posizioni di forza e di deterrenza (se l’altro possiede un coltello io come minimo devo avere una pistola).
Provo a formulare un’ipotesi ardita, non suffragata da riscontri scientifici, ipotizzando che molti di costoro divengano capi di stato o attraverso colpi di stato per assumere il ruolo di dittatore di turno o attraverso le elezioni democratiche. I lettori diranno: “Come mai lei presuppone che coloro che hanno avuto in infanzia uno stile di attaccamento sicuro, stimati nel 60% della popolazione in occidente, arrivino in minor misura a posizioni di potere politico?”. La mia ipotesi è che chi si sente sicuro sia meno attratto dall’esercizio del potere perché meno bisognoso di rassicurazioni.
Se questa ipotesi fosse valida – sottolineo il fatto che si tratta di mera congettura – alle elezioni si presenteranno molte più persone con stile di attaccamento insicuro e tra i dittatori costoro predomineranno perché saranno gli unici tentati dal colpo di stato. Si tratta di persone che mascherano con la protervia, l’ostentazione della forza e della determinazione una insicurezza di fondo legata alle loro esperienze infantili. Sono individui che non riescono a fidarsi dell’altro, per il loro peculiare imprinting avvenuto in età infantile, e tenderanno inevitabilmente ad utilizzare la forza e quindi anche la guerra per sentirsi rassicurati.
Chiaro è che la guerra determina in tutti insicurezza. Per questo il rischio dell’escalation è molto probabile in quanto più i potenti si sentiranno insicuri, più ricorreranno a strumenti di forza e potere (nuove e più sofisticate bombe, nuovi conflitti). Si crea in questo modo un circolo vizioso difficile da rompere.
Se questa mia, fantasiosa, ipotesi ha una qualche validità quali possono essere gli antidoti?
Il primo antidoto sarebbe quello di far emergere nelle democrazie la personalità dei candidati alle cariche elettive con giornalisti che non parlino solo dei loro progetti ma anche e con dovizia di particolari del loro carattere e della loro storia personale. Analizzare i genitori dei potenziali leader, scoprire la loro storia personale e intervistare gli amici dell’infanzia dovrebbe essere normale e non tutelato da privacy, in quanto si deve affidare a quel candidato il nostro destino. Gli elettori dovrebbero poi premiare le personalità meno disturbate (mi pare che questo al momento sia un’utopia, in quanto i votanti paiono affascinati da coloro che le sparano più grosse. Presumibilmente i non votanti, che si astengono, potrebbero essere meno attratti dall’estremismo).
Se un paese democratico si confronta con una dittatura dovrebbe capire la personalità del dittatore di turno ricercando due elementi di deterrenza: mostrare la forza pacata degli eserciti e delle istituzioni nella democrazia e rassicurare l’interlocutore sul fatto che non lo si vuole distruggere.
Il più importante e radicale antidoto, che però richiede molto tempo e impegno, sarebbe educare tutti i bambini con uno stile di attaccamento sicuro. Per fare questo occorre aiutare le famiglie più bisognose e problematiche e fornire a tutti i bambini strutture sociali che attenuino eventuali deficit familiari. Quest’ultimo punto, molto complesso da affrontare e spiegare, richiederebbe uno spazio che eccede questo blog. Invito i lettori interessati a leggere articoli sulle teorie di Bowlby.