di Giorgio Boratto

Sono nato che sulla terra rimbombava ancora lo scoppio delle due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki; era appena finita la guerra e mi piace pensare che mio padre mi avesse concepito in un giorno di festa tra il 25 aprile il 5 maggio del 1945. Mio padre appena ritornato dal campo di concentramento di Mauthausen dove era stato deportato il 30 giugno del 1944. Mia madre felice mi portò in grembo fino al 2 febbraio del 1946.

C’era ancora la monarchia che sarebbe finita 4 mesi più tardi. L’Italia si riprendeva dopo una guerra devastante e l’ubriacatura del regime fascista. Una camicia nera c’era in ogni guardaroba…a me parve di scovarne una in una vecchia cassettiera ma certamente non era di mio padre che sapevo un socialista di Nenni; d’altronde come poteva, anche se figlio della Lupa, essere fascista ancorché deportato?

Lui mi raccontava sempre l’orrore di poter essere ucciso per aver raccolto una mela sotto un albero. Pianse disperato davanti al mitra tedesco. Pensa mi diceva “oggi non potresti essere nato”. E già. Quante vite interrotte ci furono in quella guerra insensata, ancora e uguale a scelte di potere. E sì, noi italiani eravamo diventati un simbolo di ordine e disciplina… noi eterni artisti arruffoni, anarchici alla stregua di un farabutto imbonitore.

Ogni tanto ci penso: come potrei essere di destra? Nato da una famiglia povera e operaia capii che la cultura e quella avrebbe migliorato la mia vita e mi avrebbe permesso di godere di un tramonto o di una poesia; mi avrebbe permesso di coglierne la qualità e trovato una giusta misura nella ricchezza e nei desideri… insomma una saggezza che avrei perseguito anche con l’età. Oggi non ci sono più si dice, quelle condizioni: il mondo è cambiato e cambia continuamente però penso che certi valori rimangano e essere di sinistra vuol dire non essere conservatori, ma rinnovare se stessi e l’umanità ogni volta.

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