La Shoah e Gaza - Lettera di Paul Sears - 3/3
In quanto ebreo residente in Italia da più di quaranta anni, figlio di una superstite dell’Olocausto, molti amici mi chiedono cosa penso del conflitto tra Israele e Hamas. Ho parenti in Israele, non ho molti contatti con loro, ci siamo persi di vista, ma mia madre li sente regolarmente. I miei sentimenti riguardo a Israele sono, mi immagino, abbastanza comuni a tanti ebrei non praticanti della mia generazione che non vivono là: non ci penso quasi mai eppure, quando la sua esistenza è minacciata, soffro. E il dolore è profondo, radicato, identitario, atavico.
Non mi soffermo qui sulla storia di Israele-Palestina: la documentazione è pressoché infinita e ognuno si farà la propria idea. Qualsiasi posizione uno prenda, troverà innumerevoli fatti a sostegno della propria tesi.
Vorrei invece commentare il dibattito che infuria rispetto al diritto/obbligo di indagare la possibilità che Israele sia colpevole di Genocidio nei confronti della popolazione civile di Gaza. Questa ipotesi provoca reazioni di rabbia e sdegno fra tanti ebrei le cui famiglie, come la mia, sono state toccate dalla Shoah. Chi si oppone alla sola idea elenca le differenze (innegabili) di contesto, circostanza, metodo e scala tra le azioni dei Nazisti nei primi Anni Quaranta e quelle dell’esercito israeliano a Gaza oggi. Sostiene che accusare Israele di Genocidio priva i superstiti della Shoah di prima e seconda generazione del loro diritto al dolore e al lutto, banalizzandone l’orrore e la crudeltà. Dice, inoltre, che questa banalizzazione, così offensiva della Memoria, fomenta l’antisemitismo in forte crescita in tutto il mondo, perché alimenta tutti i vecchi pregiudizi e stereotipi dell’ebreo cattivo, diverso e inaffidabile.
Io sono di parere opposto. Credo che il principio della legalità internazionale sia essenziale per costruire un mondo più equo e con più pace, per quanto l’applicazione di tale legge sia ancora imperfetta, zoppicante e sbilanciata a favore dei paesi occidentali. Il Sudafrica ha appena denunciato Israele per Genocidio alla Corte Internazionale della Giustizia ed è in quella sede che Israele si difenderà. Non mi indigno per partito preso. Mi oppongo, invece, all’idea strisciante di un “eccezionalismo” ebraico con cui si insinua che noi ebrei abbiamo una superiorità morale acquisita attraverso duemila anni di persecuzione, e che pertanto il Genocidio può solo riferirsi ai crimini perpetrati contro di noi (con buona pace dei Rohingya, Darfuri, Ruandesi ecc.). Da lì il passo è breve ad un’altra idea molto pericolosa: “Per quanto vi facciamo soffrire, noi abbiamo sofferto di più quindi dovete stare zitti”. Non sono un fan delle classifiche della crudeltà e, comunque sia, il punto è un altro: vogliamo o non vogliamo una legalità sovranazionale che abbia il potere di giudicare e eventualmente condannare le azioni dei governi di stati sovrani ?
Rispetto all’aumento di antisemitismo, certamente mi fa paura. Conosco fin troppo bene quei fantasmi: sono la stoffa di cui è cucita la mia storia familiare. (D’altronde l’islamofobia rampante non deve essere troppo rassicurante per i musulmani per bene in tutto il mondo). Ma non penso che negare lo “accountability” dello Stato di Israele sia la strada più efficace per combatterlo. Semmai il contrario.
Infine ci dobbiamo chiedere se veramente vogliamo una pace equa e se sì, quanto sia utile a tale fine quello che diciamo e argomentiamo al bar, a cena con gli amici o nelle nostre lettere ai giornali. Io penso che la sottile strumentalizzazione della Shoah per esentare lo Stato di Israele dallo scrutinio della giurisprudenza internazionale non aiuti. Incrementa piuttosto la polarizzazione e l’odio. Ma dirò di più: è proprio perché la Shoah scorre nelle mie vene che credo che Israele non debba porsi al di sopra di un’idea di legge inventata da un ebreo, Raphael Lemkin, per condannare la prevaricazione dei forti su gruppi di persone il cui unico crimine è quello di appartenere a quel gruppo.
Spero che non sia necessario ma per fugare ogni dubbio dichiaro che nulla di quello che scrivo e nulla di quello che penso intende difendere o giustificare in nessun modo l’attacco di Hamas il 7 ottobre scorso. La mia condanna è incondizionata.
Paul Sears, Parma 6 gennaio 2023