È vero che le intercettazioni costano troppo come dice il ministro della Giustizia Carlo Nordio? Sì costano parecchio, ma oltre a essere fondamentali per le indagini rappresentano un vero e proprio investimento per lo Stato. Lo ha spiegato in modo molto efficace il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, intervenendo alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario del capoluogo siciliano. “Le intercettazioni costano? Certamente costano”, ha detto il capo dei pm palermitani, facendo un esempio basato sui numeri del suo distretto. “Lo scorso anno – ha raccontato – la procura di Palermo ha investito 30 milioni in attività di intercettazioni che apparentemente sono una grande massa, ma a fronte di questa massa nello stesso periodo sono stati confiscati beni per 400 milioni di euro“.

“Le intercettazioni? Si ripagano” – I dati riferiti da De Lucia si riferiscono al 2023 per quanto concerne gli ascolti telefonici, mentre le confische riguardano i dodici mesi compresi tra il luglio 2022 e quello dell’anno scorso. Chiaramente non tutte le intercettazioni portano poi a mettere i sigilli a patrimoni accumulati in maniera illecita, ma volendo comunque fare una proporzione si potrebbe dire che a Palermo per ogni euro investito in ascolti lo Stato ne ha ottenuti più di tredici, confiscandoli alla criminalità. E il calcolo non considera i beni al momento soltanto sotto sequestro, che hanno un valore ingentissimo ma il cui status giuridico non è ancora definitivo. Ecco perché i soldi spesi negli ascolti telefonici e ambientali sono da considerare un investimento e non soltanto uno spreco da tagliare, come sostiene il guardasigilli Nordio. “Non è giustificata l’osservazione sul costo delle intercettazioni perché non solo si ripagano, ma sono uno strumento fondamentale d’investigazione anche nel corso degli accertamenti patrimoniali“, ha proseguito il capo della procura di Palermo.

“Risorse limitate pure per indagini antimafia” – Già in passato De Lucia aveva spiegato come per l’arresto di Matteo Messina Denaro fossero stati importantissimi gli ascolti telefonici e ambientali. E a proposito del boss di Castelvetrano, il procuratore ha raccontato che “nel corso delle perquisizioni effettuate dopo il suo arresto sono stati sequestrati 500mila euro in gioielli e 300mila in contanti, somme subito fatte confluire nel Fondo Unico per la giustizia”. Anche per questo motivo De Lucia ci ha tenuto a evidenziare come sia “necessario difendere gli strumenti normativi che abbiamo e che, a mio avviso, sono irrinunciabili“. Nelle scorse settimane, in un’intervista rilasciata a ilfattoquotidiano.it, il magistrato aveva criticato l’abolizione dell’abuso d’ufficio, considerandolo un reato-spia fondamentale per indagare sui politici collusi con la mafia. A proposito delle indagini sui clan, il capo dei pm palermitani ha poi aggiunto: “Siamo impegnati in diversi piani di investigazione che tengono conto della struttura di Cosa nostra. La mafia vive un momento di crisi, momento che va colto. Non bisogna cedere all’idea che sia finita e si deve comprendere che le risorse a disposizione della giustizia sono limitate quindi l’azione di contrasto va pianficata e razionalizzata”. Da investigatore esperto in criminalità organizzata, poi, De Lucia ha raccontato come ci sia “un nuovo attore che sta emergendo nel panorama europeo. Mi riferisco alle strutture criminali albanesi. Un tempo erano manovalanza delle strutture del crimine, ma ora hanno imparato e oggi sono sulla piazza”. In effetti è da qualche tempo che i clan albanesi vengono segnalati tra le mafie emergenti in ambito comunitario, come documentava l’inchiesta del Fatto sulle Mafie unite in Europa nel 2017.

“Interventi su Codice rosso non proteggono fragili” – Durante il suo intervento il procuratore De Lucia ha anche affrontato la questione della mancanza di personale, una problema sottolineato anche da altre corti d’Appello nel resto d’Italia. “Il tema della carenza degli organici è di estrema gravità, oltre ai concorsi serve una revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Le sedi piccole non possono funzionare e le risorse che richiedono dovrebbero invece essere redistribuite per migliorare l’andamento degli uffici grandi. Insomma è necessaria una riforma della geografia giudiziaria perchè assicurare una giustizia di prossimità non significa dare al cittadino la possibilità di andare a depositare una denuncia vicino casa, ma garantirgli una risposta rapida”, è l’opinione del capo dell’ufficio inquirente siciliano. “In tutte la sedi giudiziarie – ha aggiunto – in questi momenti viene ricordata la situazione di grave di organici in cui versa la magistratura italiana. Questa crisi vale anche per la Procura della Repubblica di Palermo, che non è un posto qualunque, per la sua storia e per il lavoro nel quale oggi è impegnata. Il Csm, e gliene do atto, ha inviato da pochi giorni quattro giovani magistrati a integrare il nostro organico, ma dieci sostituti in meno, su 61 previsti è e rimane segno che sul piano degli organici ancora molto c’è da fare”. De Lucia ha poi criticato gli ultimi interventi legislativi sul Codice rosso: “Non vanno incontro ai soggetti fragili, ma incidono sull’attività del pubblico ministero: imporre obblighi burocratici non soddisfa la tutela della vittima, servono piuttosto strumenti efficaci come l’applicazione di misure cautelari più efficaci, ad esempio il braccialetto elettronico che permetta alla vittima di controllare da sé la posizione dell’aggressore”. Nel settembre scorso il Parlamento ha approvato una nuova norma che obbliga il pm ad assumere informazioni da chi ha denunciato delitti di violenza domestica e di genere entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato. In caso contrario il procuratore potrà revocargli l’assegnazione del fascicolo.

Gli altri alert sulle intercettazioni – La questione degli ascolti telefonici è stata toccata anche dalla procuratrice generale Lia Sava: “La materia delle intercettazioni che non può e non deve essere oggetto di continue polemiche – ha detto la magistrata – Se in tale settore occorre valutare favorevolmente il rafforzamento delle garanzie dei terzi, non può essere consentito alcun decremento all’efficace contrasto di gravi fenomeni criminali”. A sottolineare l’importanza delle intercettazioni è stato anche il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, che l’ha definito come “un fondamentale ed insostituibile strumento investigativo, oggi più che mai strategico per la ricerca della prova, specie, ma non soltanto, nei procedimenti di criminalità organizzata”.

Ma per Nordio la mafia non parla al telefono – Sul costo delle intercettazioni, il ministro Nordio era intervenuto l’ultima volta solo dieci giorni fa durante le sue comunicazioni sull’amministrazione della Giustizia in Parlamento. Nel suo primo intervento alla Camera il guardasigilli aveva assicurato: “Non saranno mai toccate le intercettazioni nelle inchieste su mafia, terrorismo o gravi reati ma una razionalizzazione della spesa è necessaria”. Poi, però, al Senato era tornato a ripetere una frase che già in passato aveva provocato polemiche: “Se come è accaduto fino a ieri, un pm sequestrasse un cellulare, sequestrerebbe una vita. Ma voi credete che la mafia parli col telefonino se deve fare un attentato?”. Come è noto, però, i mafiosi hanno spesso usato i telefoni per organizzare attentati. Solo per fare un esempio, è grazie al cellulare che i boss Gioacchino La Barbera e Nino Gioè comunicarono tra loro il 23 maggio del 1992. Dopo l’arrivo di Giovanni Falcone all’aeroporto di Palermo, La Barbera seguì il corteo di autoblindate costeggiando l’autostrada, in contatto telefonico con Gioè che invece era al fianco di Giovanni Brusca sulla collinetta che sovrasta lo svincolo per Capaci: pochi istanti dopo il giudice saltò in aria insieme alla moglie e agli uomini della scorta.

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